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Into the light/out of control | ||
Trama e ordito: leggerezza, fluttuazione, intreccio | ||
di Marco Nardini | scrivi all'autore | |
NOX-Maison Folie, Lille (2004) | ||
Nell’immagine, sia essa grafica, design, architettura, fotografia, prevale la trama e l’ordito. Tracce d’immaginazione, memoria, connessioni, fanno parte di un tessuto tridimensionale che rinvia sempre ad un altro da sé. Il tessuto è connesso ed intrecciato in un ordine universale, dove il tutto è superiore all’individualità del singolo. Non è il singolo l’oggetto di questa interconnessione, ma il tutto universale. Questo rapporto tra trama ed ordito è messo in atto e reso visibile dalla luce. La luce è elemento che unifica il cosmo, che unisce i nostri atti quotidiani e dà un senso alla nostra vita, nonostante sia impalpabile. Non c’è nulla di più concreto della luce, nulla di più percettibile, perspicuo ed universale. La corpuscolarità della fluttuazione, negli elettroni, è ciò che materializza il flusso particellare in quel qualcosa che lo rende in-materiale, interno alla materialità e, in un certo senso, più che immateriale. Una delle lezioni del mondo contemporaneo è proprio che ciò che per millenni è stato considerato altro dalla materialità è la vera essenza di essa. La luce è ciò che dà senso di esistenza a tutte le cose, le definisce e, in ultima analisi, le “materializza” in trama ed ordito. L’architettura come sottoprodotto della luce. Questo sembra affermare molto di quello che vediamo realizzato, in questi ultimi decenni. La luce: leggera, trasparente, immateriale, visibile; nasconde la preminenza del segno in architettura. In questo modo è il mondo che ha decretato la fine dell'ortodossia del segno, rendendo inattivo e singolare il codice. Ha scisso il legame tra gesto e significato. E’ l’insostenibile leggerezza della luce, della trasparenza e dell’immaterialità a prevalere e a dire che il gesto, il segno inteso come codice, è diventato geneticamente modificabile e significante in quanto ri-assemblabile all’infinito. I sistemi simbolici scivolano sui piani inclinati dell'interesse mentre si lavora sempre di più sul rapporto tra manifestazione e intenzione; sul groviglio che unisce intendere e volere. E’ questo, se vogliamo, il nuovo “modo” di codificare. Un modo che non ha niente a che vedere con cifrari e formulari. Contemporaneamente lo spazio, insieme al tempo, è ritornato al centro della semantica della progettazione, al di là e oltre il segno. E’ un’incredibile evidenza quella dell’analogia che c’è (non solo in architettura) tra quegli anni (quelli dell’inizio del XX secolo) e questi anni (quelli dell’inizio del XXI secolo). Come nella Glaserne Kette di Sherbaart e l’Alpine architecture di Bruno Taut, questo modo di pensare l’architettura senza segno, fatta di luce e, quindi di materia in forma di energia. In quel caso minerale, in questo biologica. In entrambi de-codificata. |
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“Alpine Architecture" Bruno Taut (1919) | ||
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In architettura e nel design i miti attuali sono ancora quelli della leggerezza e della luce; ma messi in opera nella globalità, nelle funzioni d’accesso e nell'interattività. Il mondo contemporaneo è un luogo “visivo”, dove l'immagine visualizzata non è immagine e basta ma è anche dato, anche nel senso che, il più delle volte, è fornita (data) da qualcun altro, perlomeno nelle sue parti costituenti (i dati di base). Eppure, nonostante questo, non sappiamo dirne con esattezza l’appartenenza. Si può dire a chi appartenga la luce? E’ in crisi l'idea del controllo; il controllo, in generale, è il vero punto debole della nostra società, anche dal punto di vista culturale, sociale e politico. Il controllo può avvenire a livello di elementi base. Quasi in una strategia del meccano in-materiale, i dati debbono essere forniti, sempre, come dati a-priori. Non possono essere auto-prodotti, bricolati ed epifanizzati. L’operare creativo è imprudente soprattutto se è più di un intervento di manipolazione (genetica, grafica, ecc.). In quanto gesto d’autonomia dal dato costituisce un atto pericoloso e fuori dal controllo. Sempre più tecnologia e biologia sono prossime, e vengono intese come informazione. In tal modo convergono una nell'altra. Questa informazione, media, deve essere considerata perfettamente trasparente per essere codificata, digitalizzata, trasferita e, alla fine, manipolata e quindi trasformata. Ma cosa ne resta, alla fine? Una radiazione: pura luce. L’operazione concessa è quella di praticare una sottrazione di peso sullo spazio, creando uno spazio senza peso. L’esito finale è quello di un’architettura che tutti possono avere ma che nessuno possiede. Un’architettura senza peso: fuori controllo.
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Marco Nardini (1961) insegna Modellazione presso il Corso di Laurea in
Disegno Industriale (Facoltà di Architettura "L. Quaroni", Roma "La
Sapienza"). Autore di studi e ricerche sull'applicazione delle tecnologie informatiche e telematiche all'architettura. Ha ottenuto diversi premi in
concorsi d'architettura, design e progettazione del paesaggio. Ha
realizzato siti web, CD Rom e sistemi informativi per didattica e ricerca.
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