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Architettura contemporanea: lo spettro dell’invasione aliena. | ||
di Andrea Carloni | ||
[ andrea.carloni@tiscalinet.it
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Ipotesi Credo che da sempre l’opera d’arte così come quella architettonica siano la visione innocente che l’artista ha di se stesso a seguito della sua immersione inevitabile nella contemporaneità. Da questo punto di vista l’opera d’arte può essere considerata una sorta di saggio filosofico sull’essere umano contemporaneo. Quindi sarà divertente domandarci se oggi quegli architetti contemporanei che indagano così profondamente il processo che costituisce la forma, arrivando a rilegare in secondo piano il suo risultato, cioè l’opera stessa, stiano facendo oltre che dell’avanguardia artistica anche una profonda analisi ontologica della contemporaneità. Io credo proprio di si e per arrivare ad esemplificarlo proverò a fare delle considerazioni. greg lynn cincinnati country day school -
Prima riduzione La filosofia di Marx e i conseguenti sviluppi specie in campo esistenzialista sono riusciti a dimostrarci che un individuo quando produce degli oggetti secondo schemi precostituiti, estranei alla propria volontà e creatività, quindi evita di pensare, diviene un non-uomo, cioè in una generica macchina. Infatti secondo una terrificante metodologia induttiva, dati più manufatti identici, possiamo risalire e affermare che anche i loro assemblatori, cioè gli uomini, sono tra loro indistinguibili, come se fossero delle macchine. Se questa dell’uomo standardizzato, mezzo tra i mezzi, può essere una chiave di lettura; un'altra è quella inversa che individua nelle macchine i soggetti capaci di sostituirlo in molti ruoli costruttivi. Perciò l’assemblaggio dei manufatti che in passato era stato prova indubitabile della diretta azione umana, adesso può affermare anche l’esistenza della macchina. Con quest’ultima visione Marx è riuscito a dimostrare come il volume occupato dall’esistente umano a seguito dell’arrivo delle macchine si sia notevolmente ridotto, perché la porzione riguardante la gestione della fisicità si è distaccata concedendosi al volume machinico. L’uomo è stato detronizzato dal regno della materia.La conseguenza di queste deduzioni fu di aumentare la forza di coesione tra i concetti di essere e pensare l’unicità, cioè l’uomo è veramente tale soltanto quando produce soggetti unici, quindi esercita un pensiero dedicato a quello che sta elaborando. Questa prospettiva ha esercitato un enorme fascino anche se spesso indiretto su l’arte e architettura del novecento, che sempre più hanno perso l’attenzione per i propri manufatti. Poiché l’uomo non era in questi ma soltanto nel processo che gli aveva costituiti, nell’idea che racchiudevano. All’uomo rimaneva il regno della fede creativa, alle macchine andava quello della eseguibilità.Ma con la nascita dei computer anche questa struttura ontologica è stata aggredita e destabilizzata specie nell’ambito architettonico perché buona parte di quel territorio assoluto dell’uomo, che era il processo creativo, ha iniziato a essere sempre più gestito dalle macchine. Scienziati come Edward Lorenz artisti come William Latham e oggi architetti come Greg Lynn hanno iniziato ad indagare su la cosiddetta intelligenza artificiale, andando ad aggredire l’unico rifugio dove l’intero esistente umano si era concentrato, cioè l’attività di pensiero. -
Seconda riduzione L’arte e la scienza unitesi sono così riuscite a ridurre ulteriormente il volume ontologico dell’uomo, perché non solo la realizzazione del soggetto ma anche la sua concezione, quindi l’attività di pensiero, è stata affidata sempre più alle macchine, trasformandola nel prodotto di un prodotto umano. Da alcuni anni le macchine da utensili sono diventate dei collaboratori alla pari dei progettisti, in grado di gestire come questi la manipolazione delle idee. Anche il pensare cioè l’attività principe che permetteva ad ogni singolo uomo di essere cosciente della propria identità unica, ha perso quindi la propria validità dimostrativa, perché posseduta anche dai suoi strumenti.Il connubio uomo-macchina sul piano della creatività anche se oggi così produttivo in ogni campo è soltanto un periodo di transizione ed in futuro il nostro apporto risulterà soltanto un fardello. Con il passare del tempo l’attività processuale delle macchine andrà sempre più migliorandosi e diventerà impossibile praticare delle distinzioni tra uomo e macchina basandosi sul criterio della capacità di pensare, quindi di creare. Se l’uomo vorrà continuare a distinguersi da ciò che uomo non è, e perciò sapere perché, e dove esista, non potrà più credere nel suo ruolo produttivo e nemmeno in quello più specifico della creatività. L’uomo per trovare la propria essenza se vorrà usare ancora il metodo della distinzione, non potrà più collocarsi nel luogo della elaborazione mentale. Ma dovrà prima scoprire l’essenza delle macchine e dopo cimentarsi in spazi dove queste non esistono. E l’unico territorio dove le macchine non esistono è l’inattività. Infatti come gia detto sono in grado di esercitare qualsiasi attività anche il pensare, da quando questo contenitore significa, lo scorrere della produttività interiore, nel tempo. Le macchine pensanti hanno demolito anche il cogito cartesiano che giocosamente potrebbe essere riscritto: io penso, quindi sono, una macchina, cioè non più un uomo ma il suo prodotto. Quindi il cogito che in passato è servito a dimostrare la veridicità della nostra coscienza individuale oggi può avere la stessa efficacia nell’annientarla, perché il pensare come contemporaneamente è concepito è assimilabile ad una attività, ed ognuna di queste è ormai simbolo dell’essenza machinica. the Cube of Ukz porzione. -
Dove siamo Riassumendo nel arco di tre secoli prima le macchine e dopo i computer sono riusciti a conquistare gli spazi che erano il regno della individualità umana, spingendoci sempre più verso i limiti della razionalità. Quando pensiamo, l’uomo che è in noi si addormenta per “attivarsi” immediatamente dopo, e formare il prodotto di se stesso. A questa nuova disposizione ontologica il nostro essere ha reagito fuoriuscendo dal luogo dove è stato visto da Cartesio per andare al suo esterno e circoscriverlo; alloggiando nei particolari, nel mutevole. Nel rivestimento dell’essere. Perciò quando io penso il mio essere innesca si, il processo di costruzione della macchina, ma si rifiuta di integrarvisi e diventa un suo residuo inattivo. È in questo residuo immobile che sta l’unicità di ogni individuo. È proprio nella nostra inattività che le macchine non riescono a emularci e quindi possiamo dare un senso alla nostra vita. Se vogliamo fare uso di una dicotomia non possiamo usare più, essere o non essere e nemmeno natura e artificio ma, attivo e inattivo. Noi siamo dove loro si spengono. -
Lo specchio inverso Dopo questa lunga digressione possiamo dire che l’architettura collocando sul solito piano il processo creativo umano e quello elaborativo informatico, in modo da miscelarli come due sostanze di uguale densità, ha raggiunto la piena coscienza di quali sono i fulcri concettuali da verificare. Confermandoci che l’immaginazione, cioè quel luogo ritenuto sacro da filosofi come Sartre che vi vedevano il volto dell’essenza individuale, è territorio ormai anche delle macchine.L’architettura riesce a fare questo perché nella costruzione delle sue ideologie fa spesso uso di strutture esistenziali umane o per lo meno organiche. È il caso delle costruzioni di Karl S.Chu che si distinguono tra loro soltanto nello spettro sensibile, ma la forza che le ha generate è una sola ed il nostro “senso logica” riesce a percepirla. Anche nella Ebriological Housing di Greg Lynn, potenzialmente, sono risultanti infiniti forme da un'unica idea generatrice. Questo architetto arresta il flusso creativo nella potenzialità dove ancora tutto è omogeneo, riservando ai “particolari” generati dal caos il ruolo della distinzione sensibile. Da questi esempi possiamo acquisire che l’architettura similmente a l’uomo consiste in flussi comuni e atemporali rivestiti o forse sostenuti da stadi transitori. Infatti i prodotti architettonici di questi autori sono soltanto delle tappe morfologiche - acquisibili dai sensi - generate da processi evolutivi infiniti. È proprio in questa processualità che gli architetti vogliano racchiudere la potenza significativa, relegando in secondo piano le piccole sfaccettature che distinguono un prodotto da gli infiniti simili. Questo è un errore; perché se l’ideazione del processo spetta ormai alle macchine, quel residuo risultante che è la forma “apparsa” – nel senso di fuoriuscita - può interessare l’uomo perché a lui così simile. L’architettura avendo una configurazione simile a l’uomo perché come questo possiede una struttura attiva interna e un involucro effimero esterno, può essere utilizzata come mezzo di indagine indiretto dell’esistente umano. In questa prospettiva i progetti contemporanei che si concentrano su la forza interna che gli ha generati, possono essere considerati lo specchio illuminante dell’inesistente umano. Perché ci indicano dove non siamo.
william latham organic art - L’occasione Inoltre dobbiamo considerare che mentre i flussi eterni - capaci di generare le architettura di un epoca ma non le sue forme e gli uomini ma non gli individui in natura - saranno analizzabili anche in futuro, i loro prodotti sensibili vincolati al tempo sono commestibili soltanto nella contemporaneità. I Phylux di Karl Chu sono delle stupende efflorescenze animate, che collocano la loro distinguibilità reciproca nel “particolare”. Se quindi è proprio il “particolare”, l’effimero – ciò che la storia tralascerà – che ci fa godere e non giudicare queste opere, perché non proviamo semplicemente ad assorbire inermi queste geometrie come se fossero dei catalizzatori emozionali. Tralasciamo il loro valore eterno analizzabile in ogni tempo. Come l’architettura che è riuscita a dare energia a l’effimero anche l’universo umano che si muove su un piano parallelo dovrebbe abbandonare la ricerca dell’assoluto. Può essere molto più remunerativo indagare su i particolari perché proprio come noi appartengono alla finitezza, e perciò sono destinati a non lasciare traccia, ma ci offrono l’occasione di conoscerli nel presente o mai più. L’uomo che da creato è diventato creatore deve mutare radicalmente il proprio ruolo e disubbidire al giusto senso, oltrepassare l’esigenza di essere attivo, e rifiutarsi di trasformare ogni proprio giorno soltanto in combustibile da utilizzare per una meta. Possiamo finalmente liberarci dal comodo vincolo psicologico che esistiamo soltanto quando produciamo. Io non sono la mia attività. Ormai questo spetta alle macchine su ogni livello. L’uomo deve diventare per le macchine ciò che la natura è stata per noi stessi, cioè un modello indipendente.
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greg lynn Embriological Housing. |
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