THIS IS TOMORROW
di Luigi prestinenza Puglisi

 

1.2 Il cheapscape

Torniamo a Gehry. L' architetto canadese si fa notare al vasto pubblico con  un'opera piccolissima. L' ampliamento della sua abitazione. Lo realizza nel 1978,in un momento di crisi, quando decide di abbandonare una attività professionale di successo per iniziare una ricerca artisticamente più gratificante. La casa solleva un certo scandalo, soprattutto tra i vicini che poco sopportano l'uso in facciata di materiali industriali poveri quali bandoni  e reti metalliche.

In realtà Gehry ha operato una scelta contestuale. Bandoni e reti sono, infatti, estensivamente utilizzati, spesso anche con una certa sensibilità espressiva, nei quartieri più poveri della città, dove prevale l'esigenza di economicità e scarsa e nulla  è quella rappresentativa. E sono anche installati nelle villette borghesi, ma solo per scopi utilitari, nelle zone di servizio o per realizzare depositi per gli attrezzi.

E' proprio il rovesciamento di luogo -in un contesto borghese e non in uno slum-  e di funzione -in facciata e non nel retrogiardino-  che fornisce all'architetto nuove possibilità espressive e indica una via alternativa per la ricerca architettonica: che sia  possibile utilizzare come risorsa creativa il cheapscape -cioé l'universo dei segni degradati e compromessi del paesaggio urbano delle periferie e delle zone di margine-  che produciamo, che ci circonda ma verso il quale mostriamo un atteggiamento equivoco e ambivalente, di accettazione pratica ma  di disprezzo estetico.

Da qui tre conseguenze.

Innanzitutto la possibilità di rinnovare la ricerca architettonica, azzerandone i manierismi e vivificandola con l' uso di un  linguaggio libero da regole e costrizioni. Avremo allora, per usare un'espressione di Barthes più volte ripresa da Zevi, un grado zero di scrittura, garantito da una lingua che, rispetto a quelle colte e paludate, è sicuramente più flessibile e più  aderente alla realtà dei fatti perchè meno compromessa da canoni stilistici e da apparati retorici consolidati.

Il cheapscape permette, poi, il formarsi di una nuova sensibilità per le forme e i materiali a noi contemporanei. Decontestualizzati, reti, bandoni e materie plastiche acquistano valori inaspettati: diventano schermi trasparenti, piani ondulati su cui scorre la luce, oggetti dalla forte intensità materica. Insomma: nuovi materiali, le cui  insondate potenzialità espressive  non sono state ancora compromesse da valori connotativi cristallizzatisi nel tempo.

Infine la nuova sensibilità verso un paesaggio urbano fatto da materiali poveri e comuni sposta il criterio del giudizio dall'ordine del bello all'ordine del vero. Il bello presuppone un' oggetto che rappresenti qualcosa che è altro da sé: una perfezione verso la quale si tende, una verità logica, la prova di un'evidenza. Il vero, invece, è la corrispondenza dell'oggetto con il suo rappresentato, il suo essere così e non altrimenti: senza maschere stilistiche, senza camuffamenti ideologici.

Dietro la scelta del cheapscape di Gehry è facile intravvedere  la logica transustanziale dei ready  made di Duchamp, la sensibilità decontestualizzante Dada, i materiali di scarto dei  Noveaux Réalistes Francesi,  e la messa in scena dell'oggetto negli happening di Karpow. Ma soprattutto la Pop Art che Gehry conosce di prima mano attraverso la frequentazione di artisti e scultori. Con uno dei quali, Oldemburg, si trova a collaborare per realizzare a Venice, Los Angeles, gli uffici dell' agenzia pubblicitaria Chiat/Day/Moyo. Ne viene fuori un insieme disorganico, composto da due edifici diversi incernierati tra di loro da un corpo di fabbrica a forma di binocolo, che funge da ingresso e da richiamo visivo.

In una intervista del gennaio 1993, Gehry attribuisce a Oldemburg la paternità dell' idea di questo oggetto iconograficamente così ingombrante.  Ma ne condivide la scelta: "so quello che ho fatto, so quello che ha fatto lui. So che non ho fatto il contrario. E inoltre so che è bello e che é più fotogenico di altre cose...". Tanto che in una successiva opera, il ristorante Fish Dance a Kobe (1986/87), in Giappone, realizzerà un' altra icona,  un pesce-insegna alto più di tre piani che svetta rispetto agli altri corpi di fabbrica.

Concepita come immagine-oggetto l'architettura tende a trasformarsi in scultura. Scherzosamente Oldemburg affermerà che un edificio si distingue da una statua solo perché al suo interno vi si trovano  i gabinetti.

Ma il problema è più serio e va, ovviamente, oltre questa sia pur felice battuta. Il critico Pierre Restany, in un memorabile saggio dal titolo " la vita la viviamo al presente permanente", nota che si sta realizzando una sorta di scambio. Da un lato l'arte cerca di trovare un supplemento di verità proiettandosi sempre più attivamente all'interno del reale, sino a confondersi con questo. Dall'altro gli oggetti reali ( cioè i prodotti di  design e le architetture) si pongono sempre più come puri oggetti di scultura e di pittura, rifiutando di mostrare il loro aspetto utilitario. Ma se l' arte  tende verso l'oggetto e quest' ultimo tende verso la arte, cambiano i ruoli, e si scardina definitivamente uno dei postulati del Movimento Moderno: la ben definita divisione  tra gli ambiti disciplinari. Qualcosa di nuovo bolle in pentola.

 

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