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MONO(L)UOGHI 01
01 - La piazza

di Marco Barbieri

 

La piazza vista dallo scivolo dell’area-giochi

Mi presento: sono una piazza.
Ebbene sì, una piazza.
La grande P su sfondo blu che campeggia davanti al mio ingresso non vi deve ingannare, quella è solo la testimonianza del destino che avevano scelto per me, destino che solo in parte si è avverato.
È vero, forse non rispondo allo stereotipo di piazza che avete tutti, ma in fondo al giorno d’oggi usare termini barocchi o medioevali forse non ha più senso…..certo, non sono proprio uguale alla mia sorella che si trova a poche centinaia di metri da qui, la mia sorella maggiore.
Lei ha una casa diversa, voi la chiamate Centro Storico, io la chiamo semplicemente centro città, nucleo originario dell’abitato del quale io occupo una zona esterna (voi direste Periferia).
Lei è ben tenuta, l’hanno da poco rifatta in porfido (ma non ne è troppo contenta, dice che preferiva il selciato di una volta), i palazzi ai suoi lati sono antichi, le persone che l’attraversano sono belle, alte, ricche (o almeno penso che sia così).
E non è la sola, ho saputo che in giro per l’Italia ce ne sono molte altre, zie e cugine che vivono in città più o meno grandi da molto tempo a simboleggiare, con i loro materiali, la loro posizione, le loro simmetrie, un passato a cui nessun paese vuol rinunciare.
Io invece me ne sto qui, a fianco di una strada abbastanza trafficata che porta verso le Alpi, lontana da negozi, duomi o parchi. Intorno a me ho alcune villette, i loro abitanti non li vedo molto spesso, sempre chiusi in quelle automobili che al mattino li rapiscono da casa per riportarceli verso sera.
In principio ero tutta sterrata e quando pioveva ero inavvicinabile, poi mi hanno dato una bella coperta di asfalto, un materiale che mi rende molto simile ad una strada ma che permette alle auto di salirmi comodamente sopra e di sostare per qualche ora.
Qualcosa però non andava, queste automobili, questi camion e questi furgoni non riuscivano col rumore dei loro motori a coprire il senso di vuoto che sentivo dentro me.
Capivo che quello non poteva essere tutto ciò che sapevo fare, che avevo potenzialità maggiori, che potevo servire di più, essere finalmente un po’ vissuta da voi.
Sarà per i miei sforzi, perché avete creduto in me oppure sarà per un semplice caso, a poco a poco avete iniziato a colonizzarmi, a riempirmi con alcuni vostri oggetti.
Li avete disposti sui miei lati per ricordarmi che il mio scopo principale è accogliere le vostre automobili, ma non fa niente, vi perdono, sono talmente contenta dei regali che mi avete fatto!

Gli oggetti che si affacciano verso il centro della piazza

Un canestro, due erano troppi (si vede che a pallacanestro si gioca così…), con davanti un bel quadrato di cemento a delimitare il campo.
Uno scivolo, fratello minore di quegli enormi castelli che stanno nei parchi più grandi, anch’esso pavimentato con un materiale rossastro (forse è gomma, noto infatti differenti reazioni tra i bambini che vi cadono sopra e quelli che cadono sull’asfalto…), il tutto poi recintato con una bella rete verde per evitare che bambini e automobili vengano a contatto.
Una panchina e, udite udite, alla sua destra …… un monumento! Ebbene sì, anche io ho la mia opera d’arte che, con il suo simbolismo, mi carica finalmente di quei valori che tanto bramavo.
Un palo giallo con su scritti gli orari dell’autobus, lungo veicolo blu che ogni tanto fa tappa su di me caricando e scaricando persone (ma la panchina non poteva essere messa lì vicino?).
Una serie ordinata di cassonetti per l’immondizia: carta, vetro, plastica, devo proprio ringraziare la raccolta differenziata che mi evita l’imbarazzo di avere un solo cassonetto!
E poi ancora una fontana, un campo da bocce (per la verità è tanto che non gli tagliano le erbacce) e alcuni pannelli per annunci mortuari, pubblicità e manifesti elettorali.
Visto? Sono o non sono una piazza con la P maiuscola?
Mi piglierete per matta, però provate a pensarci su, forse sono più piazza io con i miei piccoli oggetti nati spontaneamente che tante di quelle piazze caricate di valori in cui ormai non crede più nessuno, incapaci di adattarsi al mondo attuale per ridivenire luoghi, e non spazi, importanti per le persone.

Saluzzo – Cuneo – Italia , ore 9.00, giovedì 27 Aprile 2006

L'autore
Marco Barbieri
Quasi laureato in Architettura presso la sede di Mondovì (Cuneo) del Politecnico di Torino, per contatti marbarbier@tiscali.it

 
 

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