[08.06.2008]
PREMIO DI ARCHITETTURA ED INGEGNERIA CUNEO SAVONA IMPERIA
CONSIDERAZIONI CRITICHE E PETIZIONE a cura di mario
clemente rossi
PAI 2008. Abbiamo perso.
Caro Direttore, Le invio alcune mie considerazioni
(un po’ localistiche) sul Premio PAI 2008 che, spero,
non annoieranno i suoi web-ospiti.
Le premesse sono molte, una della quali riguarda il sottoscritto,
perché ero un partecipante al concorso: sgombriamo subito
il campo da equivoci, il progetto vincitore di questa edizione
è secondo me un’opera indubbiamente eccezionale,
alta, e meritevole del riconoscimento; anche la segnalata meritava
secondo me tale traguardo.
Va inoltre premesso che il premio PAI è un segno importante,
forse l’unico, grazie al quale si può credere in
una attività culturale ed utile degli Ordini Professionali,
altrimenti limitati ad esercitare il ruolo di circoli ricreativi
organizzatori di viaggi o partite di calcio.
Altri sono i problemi della professione, a cominciare dal ruolo
delle competenze degli architetti, ingegneri e geometri ancora
in sconfortante situazione di confusione sulle rispettive qualifiche
e possibilità operative; oppure lo scandalo degli incarichi
pubblici affidati ad eccessivo ribasso; oppure la vergogna del
ruolo di funzionari pubblici che svolgono anche il ruolo di
progettisti: arbitri e giocatori; eccetera eccetera..
Entrando nel merito del premio, oltre a riconoscere ad una sincera
ammirazione per l’operato di chi l’ha organizzato
e del lavoro della giuria, avanzerei alcune riserve sull’aver
“messo in gara” il restauro come la progettazione
di nuove architetture. O forse sarebbe da mettere in dubbio,
alla luce di quanto sto per esporre, se esista veramente un
territorio delle “Alpi del Mare” entro cui architetti
“liguri” e “piemontesi” possano confrontarsi
in tema di cultura architettonica.
Volendo concentrare la riflessione sulla categoria delle nuove
architetture, alla luce del risultato del Premio ciò
che appare evidente è una sconcertante disparità
culturale che affligge il territorio italiano e lo colpisce
con una ingiusta localizzazione (provinciale e localizzante).
Chi ha potuto osservare la mostra dei lavori ha potuto riscontrare
come sia stato dolorosamente inclemente ma utile notare le differenze
tra le opere dei “liguri” e quelle dei “piemontesi”.
Ovviamente a favore del lavoro dei “piemontesi”.
Sicuramente il campione presente al PAI è troppo esiguo
per poter essere attendibile, tuttavia ritengo che sia utile
fare alcune distinzioni.
L’ambito in cui operano i “liguri” è
un territorio avvilito da molte vergogne appartenenti ad un
passato fatto di edificazione magnaccia, immorale, parassita,
pedofila nei confronti di un territorio vergine e bellissimo.
L’industria della seconda casa è stata negli anni
del “boom”l’enorme vacca ligure cui hanno
munto anche molti “piemontesi” il prezioso latte,
ed è ancora oggi una presenza indelebile che caratterizza
i peggiori paesaggi urbani della Liguria.
L’industria della seconda casa è stata quindi per
qualcuno la colpa morale e quindi, paradossalmente, l’humus
della vendetta. La vendetta colta come motore alla ricerca di
pretesti, di giustificazioni, di penalizzazioni culturali aventi
come unica vittima lo sviluppo culturale ed architettonico.
Lo chock conseguente alla rapina urbanistica del territorio
ligure ha comportato negli anni ottanta enormi sensi di colpa
che colpirono principalmente le coscienze anche di chi nulla
potè rimproverarsi: lo scempio fu causato dalle classi
politiche precedenti a quegli anni, furono quelle persone che
decisero che il territorio valeva solo se “edificabile”.
Lo scempio non lo fecero i “tecnici” di allora.
Tuttavia il senso di colpa permea tuttora le coscienze perbene.
E’ divertente e amaro pensare che ancora oggi in periodo
di salvaguardia sia “restrittiva” una norma urbanistica
solo se ammette minore edificabilità. Ciò è
restrizione? Allora il suo contrario è ancora pacchia?!!
Lo chock che ha colpito le coscienze perbene si riflette quindi
nella vita politica e gestionale del territorio “ligure”
e ne condiziona le decisioni degli enti e dei singoli.
Sono i pretestuosi impedimenti istituzionali che uccidono il
ragionamento creativo, soprattutto quando interpretati da figure
di responsabilità non all’altezza di interpretare
a favore del contemporaneo tali normative. Salvo rare eccezioni.
La decisione più agile è pertanto quella della
negazione. D’altra parte è la più semplice
e meno rischiosa.
Se si considera che questo atteggiamento deriva dall’ossessione
fobica di chi, perbene, gestisce il territorio da ormai trent’anni,
risulta difficile credere in un dibattito serio sulla contemporaneità
dell’architettura.
Ormai la volontà di esprimere dialogo critico in architettura
è una disciplina non “ligure”; l’architettura
è ormai forzatamente ricondotta alla mimetizzazione nel
tradizionale, al gorgheggio del vernacolo.
Tragicamente questo atteggiamento è diffuso anche in
molte parti del pubblico dell’architettura, nella gente.
Subdola complice ne è stata anche la Facoltà di
Architettura di Genova degli anni 80, gli anni della ragione
“muratoriana”.
Alla luce di quanto accade appare evidente quanto sia difficile
proporre architettura contemporanea “ligure”, ancorché
produrla sia limitato a nicchie virtuose in cui solo alcune
opere pubbliche (piazze, cimiteri , opere sociali o atipiche)
costituiscono eccezione. Ed è tanto più difficile
quanto oneroso produrla poiché i Costruttori, ormai sicuri
solo negli schemi tradizionali, oppongono le più aggressive
energie all’espressività del progetto riconducendo
il problema ad una questione di personalismo del progettista.
Questo è il quadro ordinario in cui il progetto “ligure”
si deve confrontare e, avendo lavorato da quelle parti, posso
dire che quello “piemontese” è differente.
Avendo ancora negli occhi lo splendido progetto vincitore del
PAI e quello segnalato, mi chiedo se noi architetti “liguri”
ci rendiamo conto che questi edifici si possono fare solo se
a monte c’è un grande architetto, ma anche se c’è
anche la libertà istituzionale che ne consente l’approvazione?
Vogliamo toglierci il complesso di colpa per colpe che non sono
nostre? Vogliamo unirci, vogliamo lottare?
Lottare non contro i bravi colleghi “piemontesi”,
ma contro i “liguri” perbene, contro chi vuole fare
della Liguria un presepio di intonaco e tegole. Contro chi ci
impone le “tipologie” tradizionali. Contro chi progetta
con le persiane verdi alle finestre perché intanto crede
che la battaglia sia perduta.
O lottiamo o continueremo a perdere.
7 giugno 2008. Mario Clemente Rossi Diano Marina IM
[rossi@studiorossi.org]
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