QUANDO HAI DETTO IO NO?
Io non voglio guardare la persona che amo e
vedere nei suoi occhi il deserto nella sua anima.
Li ho fregati. Ieri ho convinto due amici a venire al cinema con me a vedere
“Io no” di Simona Izzo e Ricky Tognazzi. Gli ho detto che poteva essere un
film carino e divertente.
Il film è tratto dal bellissimo libro omonimo di Lorenzo Licalzi, e
sinceramente un po’ di aspettativa l’avevo, e fortunatamente non è andata
disattesa. La pellicola è si, a tratti divertente ma soprattutto
commovente.
Il film è affascinante, già emozionante dalle prime immagini di un deserto
rosso e vivo.
Le musiche di Andrea Guerra ci incamminano su passi pesanti trascinati sulla
sabbia, sui percorsi di un camion che gira senza meta, un camion pieno di
vita, di passioni, di amore che uno dei protagonisti, Francesco, guida
proprio come la sua vita, senza direzione.
La storia intreccia le vicende di d
ue fratelli Francesco appunto e Flavio,
in apparenza diversissimi ma in realtà estremamente simili, tanto che uno
dei fratelli già da bambino ripete in maniera ossessiva, attraverso le
immagini di una vecchia cinepresa, “io no”.Un mantra sfogato e urlato nell’infanzia che si modifica e diventa
soffocato, anestetizzato dagli eventi dalle paure dalle angosce che
inevitabilmente troviamo sulla nostra strada.
L’”Io no” non è una condizione di semplice anticonformismo o di ribellione
alle regole, è un indecisione permanente, una paura di rischiare di
realizzare i propri obbiettivi insita in noi che può diventare una
condizione di vita oppure una ragione di vita.
Farsi pervadere da quel senso di malinconia, per sentirsi più vulnerabili e
quindi più ricettivi, apatici e allo stesso tempo organizzarsi per un
appuntamento per cercare di farlo andare male. Tanto vale sbattersi per
farlo andare bene, ma io no, io non voglio essere positivo pronto a ricevere
il bello per non rimanere deluso allora divento permeabile alle emozioni,
agli stimoli, alle persone che mi amano e mi stimano.
Ma c’è nelle parole di Francesco, nello sguardo perso di Elisa, negli occhi
lucidi della splendida Ines Sastre, nei gesti nervosi di Flavio, nei
dialoghi muti, nel contrasto tra case colorate calde, accoglienti e rapporti
freddi incostanti e persi in un paio di scarpe buttate ai cani, una cosa in
comune…amore.
Non l’amore universale, bello affascinante ma lontano che ci fa vivere in
quello stato di incertezza, ma l’amore piccolo quello umano quello che nasce
da occhi che si incrociano, da mani che si sfiorano, che ci fa affrontare
tutte le paure e che, proprio come fa Elisa, ci fa chiudere un cancello su
un sentimento spento, deluso e impossibile per correre su un futuro incerto
ma vero, possibile.
E’ bello vedere il percorso che fanno Francesco e Flavio, come si allontano
e si avvicinano, fino ad incontrarsi su un pianerottolo e urlarsi tutto il
loro risentimento, ma non lo stanno gridando l’uno all’altro, sono come allo
specchio, vedono riflessa la propria disperazione e la propria delusione per
una vita che loro no, non volevano così certa e piena di responsabilità
oppure incerta e senza definizione. Loro volevano una vita che valesse la
pane di essere vissuta, che non fosse banale, semplicemente supportata da
una serenità interiore per affrontare tutto.
Le critiche a questo film di superficialità e inconcludenza, secondo me sono
totalmente fuori luogo, non perché la storia a volte non sembri un po’
esemplificata, ma perché in Italia di pellicole così, girate, montate e
fotografate in maniera dignitosa ce ne dovrebbero essere di più, curate nei
fotogrammi, nelle scenografie,nelle splendide musiche. Altrimenti possiamo
sempre andare a vedere i film demenziali natalizi, quelli si che gratificano
il nostro cinema.
I
registi hanno detto che è un film sui rapporti familiari, io credo
sinceramente che sia una pellicola sui rapporti e basta. Sulla difficoltà ad
instaurarli e soprattutto a mantenerli, per non ritrovarsi veramente un
giorno soli a vagare in un deserto, che non è per forza il Sahara , ma può
essere anche l’aridità dell’anima, sfogandosi a parlare con uno sconosciuto,
raccontandogli i più segreti particolari di ogni nostra azione. Per non
dover affidare un giorno al vento e al destino le nostre parole scritte in
una lettera per qualcuno che solo noi non abbiamo deciso di conoscere, come
noi abbiamo deciso di non conoscere noi stessi, se non troppo tardi.
Io no.
Fabio Siri
sirifabio@tin.it
www.iono.it