Rieccoci qua,è passato un po’ di tempo, c’è
una veste nuova per queste pagine, e solo ora mi è
tornata la voglia di scrivere quello che ho visto, sentito,
letto, ascoltato. Sapete, ogni tanto c’è bisogno
di una pausa, da quello che si fa e soprattutto da se stessi.
Ma è tornato Ozpetek, e figuriamoci se non ero già
lì pronto al varco per il suo nuovo film “Cuore
Sacro”. Ovviamente primo spettacolo del primo giorno
di programmazione. In testa una gran attesa, la mia solita
dose di diffidenza per ogni film nuovo, e soprattutto in questo
caso dove le premesse erano di una pellicola dall’argomento
non facile.La religione
.
Titoli di testa, musica, prima inquadratura, un minuto e
mezzo di film ed è già crollato ogni mio dubbio.
E’ Ozpetek, c’è lui in ogni fotogramma,
in ogni sfumatura di luce, in quella brezza leggera di una
terrazza romana, carica di tensione, di sentimento, di paura.
Inizio tragico, che ti lascia a bocca aperta, non te lo aspetti.
La storia di Irene, una giovane donna in carriera, che vuole
apparire, gelida, decisa e austera, ma che dentro è
un travaglio di emozioni. Emotività che affiora quando
Irene si ritrova a scontrarsi con il fantasma di sua madre,
personificata da una stanza vuota, un richiamo antico a valori
passati, a sensazioni sopite, a percezioni sfumate che attendono
di essere svelate.
Una scoperta di ciò che si è stati, ciò
che si è e ciò chi si sarà permeata da
un misticismo che non è cattolico, mussulmano, ebreo,
o di qualunque altra religione. E’ un aura mistica laica
fatta solo di sensazioni a pelle, che mano a mano scendono
dentro di noi a cercar di togliere quel velo di certezze incerte
che copre il nostro cuore sacro.
Irene lo fa partendo dal rosso di pareti che scrivono parole
sconosciute al suo cuore, incomprensibili solo a chi non ha
ancora visto la luce del proprio io, cerca uno specchio in
cui riflettere l’immagine di sè che sta cercando.
E non lo trova in quella stanza senza specchi, ma girando
per le strade di Roma. E’ lì che vede riflessa
se stessa, negli occhi di una ladruncola, nei bisognosi che
non chiedono, nella dignità delle persone la cui vita
per scelta o per caso ha deciso di scivolare senza lasciare
nulla.
Tutto il film è nell’immagine di Irene sdraiata
nel letto della madre, avvolta da un vestito da sera rosso
come il cuore che lei aveva dimenticato di possedere. Il suo
risveglio in una mattina chiara di luce, e la domanda ingenua
di una donna bambina..”Vedi i gabbiani volare?”
Forse è giunta l’ora di far volare il proprio
cuore, di non nasconderlo dietro se stessi, dietro l’armatura
che indossiamo, lasciarlo libero di viaggiare, posarsi su
ciò che lo attira, lasciarlo cadere , raccoglierlo,
sentirlo pulsare nelle proprie mani e rendersi conto che forse
non esistiamo soltanto, ma viviamo.
Viviamo per noi e per gli altri, è come quando guardi
dal finestrino di un treno e vedi la vita che scorre intorno
a te, vedi gli altri lavorare, correre, ridere, piangere e
allora ti accorgi che siamo tutti uguali, che proviamo le
stesse emozioni, le stesse paure, le stesse gioie.
Che viviamo tutti la stessa vita e se non è così
allora c’è qualcosa di sbagliato che solo noi
possiamo cambiare.
Il film di Ozpetek affronta tutto questo, con la sua capacità
unica di arrivare dritto al cuore dei sentimenti e delle sensazioni
più nascoste ci destabilizza con un racconto apparentemente
semplice e forse a volte semplicistico. Però efficace,
tragicamente efficace.
Lo si può accusare di buonismo, di ipocrisia, di quello
che si vuole ma lui ha raccontato una storia, e l’ha
raccontata come lo sa fare lui, con un gusto cinematografico
da invidiare, sorretto come sempre da una colonna sonora efficace
del fido Andrea Guerra, una fotografia da incorniciare, la
sua cifra stilistica personale. Sarebbe già stato un
film da vedere solo per gli aspetti tecnici, ma ancor di più
se volete farvi portare sulle ali di un gabbiano alla ricerca
del vostro Cuore Sacro.
Fabio Siri
fabiosiri@inwind.it