Questo tra gli ultimi progetti degli spazi
pubblici,
il Restauro e riuso del castello di Segonzano (TN)
degli UNA2 architetti (1)
crea una continuità di discorso con i precedenti,
segnando una narrazione continua
di luogo in luogo, fili invisibili
a bassa voce …
Mi intriga questo ultimo delicato progetto
che trova nella sua realizzazione
Una forza fatta di piccoli segni
Tracce
Presenze
Geometrie sottili e dissolte
che definiscono confini sensibili
ridonando una virtuale presenza fortilizia
in uno stemperato concettuale recinto
senza incidere nel/sul paesaggio
Art land o land art-minimal
Opera morfologica e di suolo
Raffinato disegno di profili
In leggerezza
Progetto che lavora profondamente
con il vuoto
con l’Assenza
in cavo
rispetto al profilo della rocca con torretta e sperone merlato
un percorso di visita & viste
attraverso una passeggiata
che racconta il luogo in un gioco
complesso di orizzonti
un’opera tra arte&architettura
di fine garbo
dove la sospensione della figura
nella dissolvenza
forma il luogo dell’immaginario
…la cronologia sospesa/interrotta
si ricompone
rimargina la cesura…
la densità del vuoto disloca
le tensioni & derive
in un solido progetto presente
Il Castello di Segonzano, Trento
Recupero e riuso
Stato di fatto prima dell’intervento
Il castello si raggiunge dalla frazione di Piazzo per due
sentieri che si uniscono in corrispondenza del maso del castello
(date 1687, 1860) dove un valloncello tra il maso stesso e
la roccia sarebbe stato esaltato dallo scavo del fossato.
Il muraglione angolare incombe sul sentiero che si inerpica
sulla rupe seguendo la traccia del vecchio percorso di accesso.
Una volta essa era probabilmente obbligata tra i muri esterni
e il ponticello con il ponte levatoio. I muri esterni, se
ne scorgono ancora le tracce erano a picco sulle balze della
profonda valle della Vallaccia a nord. Il sentiero si inoltra
nella macchia di aceri campestri e acacie e sbocca sul piazzale
di sud – est che è chiuso su due lati dai resti
di due robuste cortine alte 11 metri che si congiungono ad
angolo acuto seguendo l’orografia rupestre. Il tratto
sud, lungo 12 metri, è coronato da tre merli alla ghibellina
e conserva la scala rampante di pietra (10 gradini) che portava
al cammino di ronda e due nicchie quadrate in corrispondenza
del piano terreno. Il resto di muro a est, lungo 13 metri,
è coronato da quattro merli e presenta tre feritoie
a strombatura e forse tracce del soffitto a volta del piano
terreno. La saldatura tra le due cortine è data al
coronamento da un doppio merlo angolare e alla base da un
contrafforte a sperone alto circa quattro metri. Il paramento
lapideo è di conci squadrati e piuttosto regolari.
Dal piazzale verso sud si gode di un ampia vista panoramica
sulla Val di Cembra, vista chiusa in lontananza dalla piramide
del Palon (Monte Bondone) prima lo sguardo si sofferma su
dossi dei castellieri di Sevignano, di Lona, di Faver, di
Lasés e il doss Venticia.
Il sentiero poi prosegue nella macchia, costeggia il “Bus
del Picena” che è il resto di un ambiente forse
di guardia o di servizio posto sull’orlo nord –
est della roccia, verso il precipizio della Vallaccia. Da
qui si può salire sul “cubo” di porfido
centrale, il punto più alto di tutto il complesso,
oggi ammantato da un boschetto di pini silvestri e di carpini
neri tra i quali si scorgono ancora degli spezzoni di muri
che forse sono da attribuire al mastio. Parrebbe che il mastio,
a base quadrangolare, misurasse alla base 10x12 metri e chi
i muri fossero spessi circa 2 metri. Poco oltre si raggiunge
la piattaforma orientale che misura circa 30 metri in lunghezza
e 20 in larghezza. La roccia levigata (forse artificialmente)
è oggi circondata da carpini e bassi cespugli che nascondono
i resti dei muri. A sud verso i vigneti di Sotto Castello,
il dosso è terrazzato. Nella roccia a picco si intravedono
a tratti avanzi di fabbricati e di solidissimi muri. A ovest,
verso il torrente Avisio, c’è lo sperone dal
quale si innalza il rudere scoperchiato della torre di vedetta,
localmente chiamata delle Prigioni. E’ costruita anch’essa
in pietre di porfido squadrato ed è a pianta trapezoidale
aperta verso lo spiazzo. Il fondo è cieco, i due piani
soprastanti sono a volte a botte. Al secondo piano ci sono
due finestre strombate per lato. Quelle sul fronte occidentale,
il più stretto, hanno le strombature di differente
angolazione. Da esse si inquadra l’intero tragitto stradale
che si svolge ai piedi della balza scendendo da Piazzo al
ponte di Cantilaga per poi risalire dall’altro lato
della valle verso Faver.
Criteri di progettazione
Un castello bellissimo, completamente diroccato.
Il dovere più ovvio è quello di conservare e
restaurare.
Il dovere meno ovvio è quello di dare un ruolo al castello
ed un senso al suo recupero.
Risorse economiche limitate.
Il primo compito del progetto è quello di risolvere
queste apparenti contraddizioni.
La soluzione è nella definizione di una strategia
evolutiva:
realizzare interventi che siano immediatamente efficaci e
al tempo stesso costituiscano il primo nucleo di un lavoro
sul castello che potrà essere di maggiori ambizioni
e più ampi orizzonti temporali.
E’ certamente prioritario arrestare il degrado del
castello e mettere in sicurezza i manufatti esistenti. E’
indispensabile definire un rilievo critico dell’ esistente
e avviare una indagine conoscitiva più approfondita.
Altrettanto doveroso è però definire una strategia
di intervento che precisi gli obiettivi generali, l’evoluzione
dell’intervento nel tempo,la ripartizione ed il reperimento
delle risorse.
Sono purtroppo molti gli interventi che a distanza di pochi
anni hanno visto riprendere il degrado proprio perché
il restauro non si inquadrava in una logica complessiva di
valorizzazione e fruizione del manufatto che sola può
garantirne l’efficacia.
Il progetto sceglie senza ambiguità di lavorare parallelamente
su due tipi di obiettivi:
-compiere un rilievo critico, arrestare il degrado, restaurare
le emergenze architettoniche principali, mettere in sicurezza
percorsi e manufatti.
-definire i modi della fruizione e il ruolo del Castello per
un suo pieno inserimento nella offerta turistica della Val
di Cembra.
Il progetto di consolidamento conservativo
Dal punto di vista del progetto va fatta qui un importante
premessa. Trovandoci ad operare in un sito archeologico che
non si vuole per il momento alterare per le ragioni sopraesposte
è stato tuttavia, anche in seguito ad un sopralluogo
con il funzionario competente del Servizio Beni Archeologici
della P.A.T., concordato di eseguire degli interventi minimi
per consentire una documentazione dello stato di fatto.
Indagini archeologiche
Si conferma in sostanza lo stato di rudere del sito e non
si interagisce con il sottosuolo che per ora rimane intatto.
Si prevede invece una pulizia di tutta la vegetazione infestante
che attualmente cresce addossata ai brani murari superstiti
e in alcuni casi li copre completamente. Si prevede inoltre
l’asportazione della vegetazione infestante e la pulizia
dei piani pavimentali per la preparazione di sondaggi di scavo
archeologico. Tali sondaggi oltre che nei luoghi che appaiono
di maggior interesse, sono previsti in tutti i punti in cui
saranno posizionate le strutture di nuova realizzazione. Bisogna
infatti evitare di interferire in alcun modo con le eventuali
preesistenze. Si prevede inoltre di asportare i materiali
di crollo dall’interno della torretta, con la seguente
verifica del materiale di scavo, si propongono inoltre saggi
di scavo sugli strati sottostanti i materiali di crollo ed
i detriti, con un rilievi effettuato passo passo degli strati
scavati ed il seguente riordino dei risultati su mappe referenziate.
Infine sempre nell’ambito dei sondaggi preliminari si
prevede uno scavo in trincea con la rimozione della cotica
erbosa che attualmente copre la spianata all’interno
dello sperone merlato e soprattutto quella antistante alla
torretta. Molti studiosi hanno affermato a più riprese
che potrebbero essere delle spianate artificiali, scavate
dall’uomo. Tutte le operazioni qui descritte saranno
eseguite da ditta specializzata in lavori archeologici e in
presenza e sotto la supervisione di funzionari dell’Ufficio
Beni Archeologici della P.A.T.
Analisi morfologica e analisi delle conservazione
delle strutture
Data la natura luogo, aspra e fittamente coperta di vegetazione
non è stato agevole attuare un’indagine morfologica
e della conservazione delle strutture preventiva. Tuttavia
in previsione del progetto di consolidamento conservativo
del castello di Segonzano si è cominciato ad eseguire,
laddove non è risultato impossibile per le particolari
condizioni orografiche, una sovrapposizione delle riproduzioni
fotografiche dei prospetti sui rilievi topografici precedentemente
eseguiti. Su questa base sono state condotte le prime riflessioni
critiche sulle tessiture murarie superstiti, propedeusi necessaria
ad un qualsiasi intervento progettuale.
La convinzione infatti è quella che l’approfondimento
di un analisi morfologica strutturale sia uno dei passaggi
fondamentali per la valutazione degli interventi di restauro
e di consolidamento. Come siamo convinti della necessità,
in determinate condizioni, dell’analisi stratigrafica
per l’individuazione di aree cronologicamente omogenee,
delle sovrapposizioni, dei ripensamenti, delle reintegrazioni
e dei restauri avvenuti nel corso della storia di un bene
architettonico. La metodologia di intervento si basa su alcuni
passaggi stabiliti in partenza e che si possono riassumere
come segue: l’acquisizione delle informazioni di carattere
generale; la schedatura dei caratteri tipologici dei paramenti
murari; l’individuazione della conformazione strutturale
della sezione; l’individuazione dei punti e delle linee
di collegamento e di discontinuità tra i diversi momenti
costruttivi; la valutazione mediante le prove strumentali
più appropriate a seconda del caso delle condizioni
di “stress” delle strutture; la definizione dei
componenti chimico
fisici dei leganti e degli inerti ed infine la formazione
di un abaco per la catalogazione e la illustrazione dei parametri
fin qui illustrarti. Le tavole del rilievo, del rilievo critico
e delle ipotesi di consolidamento allegate al progetto rappresentano
l’esito di questo lavoro condotto con le limitazioni
fisiche poco fa ricordate. Infatti è quasi superfluo
ribadire che tali analisi sarà completata e portata
avanti molto più agevolmente quando saranno innalzati
i ponteggi intorno alle murature esistenti. A quel momento
sono rimandate, e qui si ricordano a puro titolo esemplificativo,
anche le analisi delle buche pontaie e delle tracce d’imposta
delle travature, con eventuali analisi dendrocronologiche
delle travature o delle tracce di travi rinvenute, oltre che
il rilievo accurato di tutte le superfici murarie.
IL PROGETTO
Il castello: “un percorso”
A valle dell’iter conoscitivo “tradizionale”
(rilievi e analisi dei manufatti) si è quindi provato
a cambiare chiave interpretativa e ad analizzare il castello
da altri punti di vista, certamente meno scientifici, ma forse
più aderenti alla reale natura fruitiva e percettiva
di ogni visita ai monumenti. Il castello si incontra all’improvviso,
dietro l’ultimo muro prima del cimitero di Piazzo. Ci
costringe a lasciare l’auto e ad avvicinarci a piedi,
regalandoci la stessa prospettiva che suggestionò Duerer
(e l’autore del ritratto del 1788 nel quale il castello
compare sullo sfondo) e che lo isola, unico manufatto costruito,
sullo sfondo dei vigneti e del bosco.
Lungo la salita svela la forma dei merli, le feritoie, le
superfici del costone roccioso.
Giunti ai piedi dello sperone merlato, la prospettiva cambia
e la torretta ci rivela il suo lato lungo. Si attraversano
alcuni vigneti e si sale la rampa che porta alla spianata
della torretta, ripiano orizzontale dal quale si gode una
drammatica vista sul torrente Avisio.
A partire da questo punto il castello, qui ormai completamente
distrutto, diventa una sorta di percorso tra gli alberi. Le
parti costruite residue sono assenti o appena affioranti lungo
il precipizio. E’ questa la parte in cui per così
dire il castello è “assente” e dove il
progetto ha poi concentrato l’intervento più
evidente: le piattaforme di legno e la torre del mastio.
Curiosamente però le masse alberate (che il progetto
propone di conservare in buona parte) ricostituiscono idealmente
il profilo del castello tra la torretta e lo sperone.
Si sale quindi tra gli alberi e quando si ridiscende si svela
finalmente il possente angolo interno dello sperone merlato
e al di là di un basso muro lo spettacolo della Valle
fino al Monte Bondone.
Il Castello dunque dal punto di vista percettivo
è il suo percorso di visita, la sequenza delle prospettive
e visuali che ci propone, gli spazi aperti appena limitati
dallo sperone e dalla torretta.
Il progetto: “un percorso”
Il progetto accetta ed elabora questa strana natura del castello
come percorso narrativo che inanella una serie di spazi aperti,
ora dominati dallo sperone e dalla torretta, ora affacciati
sulla valle o sul torrente Avisio, ora all’ombra degli
alberi.
La reale fruibilità del castello sarà dunque
nella sequenza e nella differenziazione di questi diversi
ambiti che si intende precisare meglio nelle caratteristiche
e negli usi possibili.
Per quanto concerne il percorso vero e proprio si propone
di lasciare praticamente inalterato il tracciato di quello
esistente (che nella logica di fondazione medioevale segue
la minor pendenza) e di farlo divenire il percorso di visita.
Il materiale proposto è il calcestruzzo architettonico
tipo chromofibra, utilizzato spesso in contesti di valore
storico ambientale (Palazzo Pitti, S. Croce, Assisi, ecc.);
la scelta degli inerti (in questo caso porfido locale) e la
colorazione del legante consentono di realizzare superfici
sufficientemente ruvide e poco “artificiali”.
La pavimentazione sarà intervallata da cordoli di porfido
a distanza variabile in funzione della pendenza del terreno
con i quali saranno realizzati anche i gradini dove necessario.
Il calcestruzzo architettonico non sarà spianato sui
bordi verso il terreno per non definire in modo troppo netto
il limite verso l’erba e non alterare il carattere del
percorso.
A proposito della visita al sito del castello si sottolinea
che è garantita l’accessibilità ai disabili
in tutte le parti di nuova progettazione. Per le parti esistenti
invece si è cercato laddove non esistono le pendenze
a norma di legge di prevedere comunque degli spazi di sosta
e di riposo, tuttavia si richiama il fatto che l’accessibilità
dovrà essere garantita, per il primo tratto di rampe,
da mezzi meccanici motorizzati.
Il progetto: reversibilità
Uno degli assunti iniziali del progetto è quello di
realizzare strutture che siano differenziate per materiale,
tecnologia e forma dalle preesistenze al fine di evitare ogni
possibile ambiguità.
Inoltre le tecnologie scelte devono consentire la totale reversibilità
dell’intervento qualora la futura disponibilità
di più ingenti risorse consenta di impostare più
ambiziose campagne di scavi e relative operazioni di restauro.
Le fondazioni in particolare si sono orientate su 4 diverse
caratteristiche a volte compresenti o intercambiabili tra
loro:
1) fissaggi alla roccia tramite tasselli chimici (interventi
puntuali e bene individuati che non lasciano praticamente
traccia dopo una eventuale rimozione)
2) plinti in cemento armato dove necessario, realizzati però
quasi fuori terra e adeguatamente coperti dalle strutture
lignee progettate.
3) geometria della struttura che consenta massima libertà
agli appoggi per evitare eventuali preesistenze rinvenute
sotto lo strato di terreno superficiale.
4) evitare ogni tipo scavo per non interferire con le preesistenze
del sottosuolo proponendo soluzioni alternative se necessario
(sono ad esempio le zone dove le indispensabili protezioni
del percorso pedonale sono realizzate con gabbioni in rete
e pietrame).
La torretta
Si propone di dare al visitatore la possibilità di
accedere allo spazio interno della torretta e di affacciarsi
alle finestre ed alle feritoie.
Si definisce pertanto una passerella in legno lamellare che
termina in una piccola piattaforma nella zona delle feritoie
al livello intermedio dei tre della torretta.
La passerella in legno è semplicemente appoggiata alle
imposte delle volte esistenti (per non danneggiare in alcun
modo la struttura) ed è costituita da travi in legno
lamellare sulle quali è fissato un assito di tavole
ancora in legno di larice lamellare.
Altro obiettivo è quello di lasciare libera la lettura
dei tre livelli della torretta ed è per questo motivo
che la passerella è ridotta al minimo nella parte iniziale.
Una piccola scala metallica di servizio garantisce un accesso
al livello inferiore per la pulizia e la manutenzione.
Anche la scelta del sistema di illuminazione intende sottolineare
i tre livelli dell’edificio illuminando dal basso i
due inferiori e con un piccolo proiettore quello più
alto.
Anche dall’esterno appositi proiettori su palo illumineranno
i prospetti della torretta.
La spianata della torretta e la panca/parapetto
Sulla spianata della torretta si propone di asportare lo strato
di terreno superficiale e riportare alla luce lo strato roccioso
sottostante (dopo aver realizzato gli opportuni saggi esplorativi
in presenza di un tecnico archeologo).
Quest’area propone uno dei temi ricorrenti del progetto:
la protezione dei percorsi pedonali. In questo caso si propone
di definire una lunga panca/parapetto in legno, che segue
un'unica linea orizzontale, divenendo di volta in volta seduta
o piano rialzato.
Da questo sarà possibile affacciarsi verso il torrente
Avisio ed il ponte di Cantilaga, o più semplicemente
apprezzare le tracce murarie dalle quali la panca si terrà
adeguatamente scostata.
Al di sotto del piano di seduta una linea di luce illuminerà
dal basso la piastra di roccia enfatizzandone ogni variazione.
Sul lato opposto la protezione cerca invece, come per la parte
iniziale del percorso di accesso, la massima trasparenza.
Per questo motivo è prevista una ringhiera in acciaio
zincato che ripete nella sua linea poligonale la costa frastagliata
delle rocce sottostanti. Queste ultime, come anche i muri
di contenimento limitrofi saranno illuminati da piccoli proiettori
incassati a terra alla base del muro.
Lo sperone
Parte forse più importante del Castello, dove verosimilmente
potranno tenersi spettacoli o piccole manifestazioni. La volontà
di valorizzare al massimo grado il manufatto e lasciare libera
la prospettiva interna ha comportato la rinuncia al percorso
di ronda metallico inizialmente previsto nel progetto preliminare.
Si prevede la definizione di due piastre in legno, una più
larga e bassa dove saranno verosimilmente disposte le sedie
in occasione degli spettacoli; una seconda piastra poligonale
rialzata (60 cm) anche questa in legno di larice lamellare
potrà invece ospitare un piccolo palco che godrà
del lato interno dello sperone come fondale prospettico. L’area
sarà liberata dal manto erboso per metterne a nudo
il presunto sostrato roccioso, dopo aver realizzato un’opportuna
trincea esplorativa in presenza di un tecnico archeologo della
P.A.T.
Si prevede l’inserimento delle due pedane, di forma
irregolare, a quote differenti con funzione di palcoscenico
l’una e l’altra con funzione di platea. Queste
pedane saranno realizzate con un assito di legno lamellare
di larice di larghezza 160 mm e di spessore 63 mm, montato
su una orditura di travetti in legno di larice, con un passo
di 200 cm ed una sezione di 16x12 cm, che poggeranno a loro
volta, a seconda delle caratteristiche del terreno, o su un
supporto metallico assicurato alla roccia con dei tasselli
chimici o su dei plintini di cemento delle dimensioni di circa
20x20x40 cm. Nel caso dei plinti, che prevedono un sia pur
modesto scasso del terreno (circa 20 cm in profondità),
bisognerà prima procedere con sondaggi, sempre in presenza
di tecnico archeologo abilitato, per verificare la compatibilità
di questo tipo di fondazioni con eventuali preesistenze monumentali.
Nel caso di interferenza, la struttura progettata si comporta
come una sorta di “millepiedi”, cioè infittendo
o allargando l’orditura di base si riusciranno a scavalcare
o ad aggirare tutte le preesistenze. Questo sistema consentirà
in futuro di poter smontare queste strutture anche solo parzialmente.
Questo nel caso in cui fossero messe a disposizione delle
risorse finanziarie tali da consentire una o più campagne
di scavi archeologici. Sul lato opposto lunghe panche in legno
si adeguano alle variazioni di quota del terreno e garantiscono
una comoda fruizione dell’area nelle zone dove maggiore
è la panoramicità.
Le vele
Le due pedane dello sperone saranno sormontate da tre vele
di forma romboidale, per un estensione complessiva di circa
180 mq. Queste vele sono ancorate a terra da 4 pali ciascuna,
in acciaio a sezione circolare del diametro di 80 mm e si
svolgono e riavvolgono su una sorta di albero centrale (la
tecnologia è mutuata da quella delle barche a vela).
Un anemometro comanda al motore di riavvolgere la vela al
di sopra di una certa velocità del vento.
Cosa più importante le vele una volta chiuse hanno
un impatto pressoché nullo a tutto vantaggio della
prospettiva interna dello sperone. Si propone infine di colorare
le vele con i colori dello stemma Comunale (rosso e blu)
Si propone inoltre la riedificazione simbolica della Torre
del Mastio, nella stessa posizione in cui verosimilmente sorgeva,
ma di dimensioni più contenute e di forme più
astratte (ovviamente si manterrà una adeguata distanza
dalle tracce murarie della vecchia torre e ogni minima opera
di fondazione sarà preceduta da opportuni saggi).
L’obiettivo non è naturalmente quello del “reintegro”,
né dal punto di vista formale né tanto meno
da quello ideale. Il tentativo è piuttosto evocativo,
ricreare “in trasparenza” un volume che è
esistito per dare il segno del risveglio del castello dopo
oltre due secoli di degrado e rovina, e soprattutto per favorire
una lettura critica del complesso, almeno dal punto di vista
delle volumetrie e delle relazioni che tra esse si instaureranno,
riscoprendo i rapporti che le varie parti avevano fra loro
e che tutte insieme esercitavano sul paesaggio circostante.
Si propone dunque la costruzione di un volume vuoto, di pianta
quadrata di 8 metri per lato e che si sviluppa in altezza
anche per 8 metri dal piano di calpestio.
Sarà realizzato con una struttura portante formata
da pilastri in legno di sezione rettangolare 14x26, quattro
per lato, ancorati a terra mediante una piastra metallica
a “c” rovescia opportunamente legata alla roccia
mediante tasselli chimici (in alternativa si potranno utilizzare
plinti in c.a. completamente fuori terra ma nascosti nel basamento
ligneo della torre)
La struttura principale sarà opportunamente controventata,
con elementi metallici sempre in ferro zincato. Le pareti
della torre saranno costituite da un brise soleil in listelli
di larice lamellare a sezione trapezoidale di circa 63x120
mm.
Tali listelli avranno un andamento disuguale, saranno cioè
più fitti in basso e andranno diradandosi sempre più
verso l’alto.
La trasparenza sarà pertanto la caratteristica fondamentale
delle superfici della torre, quasi un fantasma della vecchia
torre del mastio della quale evoca la presenza e soprattutto
i rapporti con il resto del castello.
Una tenda avvolgibile su albero centrale collocata lungo la
diagonale del quadrato e del tutto analoga a quelle previste
per lo sperone consentirà di ombreggiare e riparare
dalla pioggia questo spazio. La nuova torre del mastio non
ospiterà al suo interno altro che una piastra in legno
come quelle già descritte che tuttavia per la sua posizione
privilegiata sarà un vero e proprio belvedere su tutto
il complesso monumentale, godendo inoltre di una vista meravigliosa
che abbraccerà tutta la Valle di Cembra per perdersi
all’orizzonte col profilo del Monte Bondone. La tecnologia
e i materiali di grande semplicità utilizzati per la
realizzazione di questo intervento, quasi più di allestimento
che di architettura, consentiranno anche qui, come nel caso
delle pedane, di rimuovere questo manufatto con molta semplicità
in occasione di future campagne di scavo.
Ringhiere e protezioni
Una delle insidie progettuali era la definizione delle ringhiere,
indispensabili data la natura del luogo e potenzialmente di
forte impatto dato lo sviluppo delle aree da proteggere.
La scelta è stata quella della differenziazione (panca/seduta
in legno e ringhiera metallica) e della mimesi con l’ambiente
naturale (rete metallica abbinata al verde, gabbioni di rete
metallica e pietrame)
A seconda della localizzazione le tipologie pensate sono dunque
di quattro diversi tipi.
La panca/ringhiera pensata sul lato nord-ovest della spianata
della Torretta, realizzata con un supporto metallico al quale
sono fissate dei listelli di legno di larice con la doppia
funzione di seduta e ringhiera.
Sulla stessa spianata, ma verso sud si colloca una semplicissima
e leggerissima ringhiera in tondini di ferro zincato, la stessa
si troverà anche sulla salita a sud.
Per contenere i costi nelle zone non visibili si è
pensato di usare delle ringhiere in rete elettrosaldata nascoste
all’interno di bordure vegetali in essenze adeguate
e da definire meglio in fase esecutiva.
La quarta tipologia, è quella di barriere di sicurezza
formate usando i gabbioni di rete metallica riempiti di pietrame
di porfido e posti comunque sempre in lontananza dai brani
murari esistenti onde non falsarne la leggibilità,
soprattutto da lontano, da vicino essendo impossibile leggere
tali barriere come brani storici.
Un vantaggio non trascurabile di questa soluzione è
la possibilità di posarli senza dover fare nessun tipo
di scavo, e quindi di non andare ad interferire col sostrato
monumentale in nessuna maniera. Anche la reversibilità
di tale tecnologia è dunque massima.
Il castello di notte
Le emergenze architettoniche principali, ovvero torretta e
sperone saranno illuminate dall’esterno con appositi
proiettori orientabili e dalle apposite ottiche, da definire
al meglio in fase esecutiva per garantire una appropriata
visibilità anche da lontano (ad esempio dall’altro
lato della Valle).
Il percorso di visita principale sarà illuminato da
proiettori incassati a terra ogni 5/8 m. Questi illumineranno
anche in modo radente il costone esaltando le asperità
della roccia; in corrispondenza di zone di particolare pregio
o resti murari i faretti raddoppiano o sono sostituiti/integrati
da altri proiettori orientabili su palo.
Torretta e Sperone, così come la Torre del Mastio saranno
illuminati anche sui lati interni da altri incassi di potenza
variabile. Le piastre di legno sono appena illuminate invece
da piccoli proiettori incassati nei “muri di legno”.
Da valutare infine la possibilità di proiettori colorati
a colore variabile da utilizzare in occasione di manifestazioni
ed eventi.
Le forme
Si è optato per la realizzazione di strutture che limitino
al massimo l’impatto con il contesto. Dal punto di vista
formale la filosofia che ha guidato l’intervento è
stata quella “di fare un passo indietro” rispetto
al luogo in cui ci si trova a progettare, facendo prevalere
alla gratuità di presunte belle forme, compiute in
se stesse, il rapporto con la prepotente orografia del sito.
Ripercorrendo peraltro la strada già battuta dai primi
costruttori medievali del complesso e dalla famiglia a Prato
sul principio del 1500. Ancora una volta, come in tutti i
castelli alpini è sempre stato, il principio è
stato quello della massima aderenza al terreno ed alle sue
caratteristiche morfologiche.
I materiali
Anche nella scelta dei materiali da costruzione si è
cercato di scegliere la strada dell’armonizzazione massima
con il sito. L’impiego, quasi esclusivo, del legno di
larice, massiccio o lamellare a seconda dei casi, garantisce
un materiale adeguato al contesto alpino in generale e quello
del castello di Segonzano in particolare. Si ricorda qui,
per inciso, che dai documenti del cinquecento si evince che
tutte le coperture del castello erano realizzate in tavolete
di larese, in scandole di larice cioè. Non è
difficile immaginare il colpo d’occhio che il complesso
dovette offrire per circa tre secoli. Delle imponenti masse
murarie realizzate in porfido grigio e bruno scuro, che si
ergevano sullo sperone di roccia di porfido grigio con le
coperture in larice colore grigio argento. Il tutto incastonato
nelle variazioni dei verdi e dei bruni dei boschi, dei pascoli,
dei campi coltivati e degli orti.
Le strutture metalliche saranno in ferro zincato, di un colore,
quando leggermente patinato, grigio appena più chiaro
del larice, anch’esso in armonia con tutto il resto.
Per i percorsi a terra si è scelto nuovamente di impiegare
materiali con stretta attinenza all’ambiente in cui
ci si trova ad operare. Essi sono proposti in cordoli di porfido
di estrazione locale, per la realizzazione delle alzate dei
piani inclinati e dei gradini. Per la pavimentazione, anche
per il contenimento dei costi, si propone l’uso del
calcestruzzo architettonico nel quale, come inerte si propone
di nuovo l’uso del porfido locale vagliato secondo una
granulometria che consenta di ottenere delle campiture il
più uniformi possibile.
Restauro e riuso del Castello di Segonzano/sintesi
Design team
UNA2 | Paola Arbocò - Pierluigi Feltri - Maurizio Vallino
con Jacopo Tabarelli de Fatis
Luogo
comune di Segonzano (Trento)
Incarico
progetto preliminare/definitivo/esecutivo/direzione lavori
Data
fine lavori giugno 2007
Importo lavori
700.000 €