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INTERVISTA a STUDIO 74

studio74 cuneo | claudio bonicco | andrea lo papa architetti

a cura di giacomo airaldi | airaldi@archandweb.com


PRESENTAZIONE

di giacomo airaldi | airaldi@archandweb.com | immagini gentilmernte fornite da STUDIO74

La maratona delle idee

L'occasione delle mostre dei progetti partecipanti al Premio PAI 2008, mi ha dato la possibilità di conoscere personalmente ed apprezzare un giovane gruppo cuneese: Studio74. Lo studio è stato fondato nel 2005 dalla passione e dall'amicizia tra Claudio Boniccio e Andrea Lo Papa. Entrambi giovanissimi architetti hanno un'unica ed indiscutibile dote: L'orgoglio del progettare. Questa loro passione viscerale quasi si avverte a vista, nel loro modo di porsi, nel discutere e nel commentare, nel loro vestire, nel loro dialogare e innescare meccanismi. Anche loro, come moltissimi giovanissimi e bravissimo architetti italiani, si trovano ogni giorno e stancamente a dover affrontare una dura ma interresante maratona. La maratona delle idee. Una affascinante maratona piena di ostacoli, fatica, salite, improvvisi arresti e saliscendi, in nome di una delle più alte attività dell'uomo il progettare. Arrivano da Cuneo e hanno deciso di rimanerci e di viverci. Definiscono il luogo dove lavorano la "provincia ambivalente" in quanto da un "lato può essere difficilema ma anche più facile di altrove lavorare in queste zone di confine, stimolante anche deprimente, ricco di oppurtunità o chiuso, estremamente chiaro o denso di contraddizioni e crisi di identità." Probabilmente (o utopicamente ?) è una questione di attitudine." Hanno le idee chiare però, scalpitano e vengono segnalati per ben due volte al PAI ricevondo l'attenzione da parte dei media. Cercano di emergere consapevoli che lavorare oggi, ma sopratutto lavorare in italia oggi per due giovani architetti è cosa dura ma giuta, vecchio discorso oramai trito e ritrito. Vivono in provincia ma sono city user, gravitano attorno al mondo accademico torinese, succhiano linfa vitale dalla città; dalle sue potenzialità e dalle opportunità, le fanno loro, le portano a casa in un fazzoletto per poi ridistribuirle ai loro clienti ( per lo più privati) e le loro piccolissime realizzazioni( piccole in scala certo) ma dai forti contenuti e dal prezioso dettaglio. Attenzione per il dettaglio appunto, attenzione per le esigenze del cliente, attenta analisi del bugget sono elementi a loro famliari. Affrontano con lo stesso impegno il piccolo incarico di provincia o il concorso internazionale. Il loro non è un approccio ma un filone di ricerca che nasce e si evolve ed in cui ogni tappa è un progetto. Non vogliamo parlare di loro , lasciamo a voi giudicare, gli abbiamo fatto 20 domante che hanno innescato altre mille questioni. Una bella chiacchierata in forma digitale affiancata dalla presentazioni di due loro realizzazioni segnalae e vincitrici del PAI. Continuano la loro maratona delle idee, con l'orgoglio del progetto, con le idee da mettere sempre in discussione. I risultatai già si vedono ma le aspettative per progetti futuri sono quelle che ci daranno le migliori soddifazioni... ne sono certo! Ecco a voi STUDIO74

INTERVISTA a STUDIO74

a cura di giacomo airaldi | airaldi@archandweb.com

1. Una auto-presentazione in quattro righe...
STUDIO74 è un piccolissimo studio di architettura composto di due persone, più una rete di amici e collaboratori che all’occorrenza partecipano ai lavori più impegnativi. La nostra filosofia di lavoro è improntata ad una continua ricerca e sperimentazione, costruita prima di tutto sull’ascoltare: la storia o la contemporaneità, i luoghi, le emozioni e le persone. Al centro del percorso di ricerca c’è sempre un’idea, che viene cercata nella semplicità ed è approfondita eliminando ciò che è inutile o superfluo. L’idea viene individuata, messa a fuoco e gradualmente tradotta in forma e materia; ogni fase del lavoro, dai primi scarabocchi, ai disegni esecutivi, alle simulazioni, alla verifica dell’esecuzione in cantiere è improntata alla massima attenzione e cura per ogni dettaglio concettuale ed esecutivo del progetto.

2. Cosa ne pensi della comunicazione tramite il web in Italia oggi?
Crediamo che la comunicazione tramite il web (in Italia come nel resto del mondo) abbia enormi potenzialità ma anche qualche rischio.
La natura ipertestuale di internet permette una notevole facilità di accesso ad informazioni anche molto diverse tra di loro: testi, immagini, commenti, disegni, schemi e contatti possono essere trovati, confrontati ed analizzati con pochi click.
Il rischio maggiore è quello della presenza di molta spazzatura mediatica e/o di trattare le migliaia di Kbyte di informazioni a disposizione in modo superficiale. Forse la lentezza del tempo che si spendeva in una biblioteca a sfogliare i libri e riviste non era poi così negativa, perché permetteva di assorbire e metabolizzare, mentre spesso oggi capita di vedere o leggere una cosa velocemente e dimenticarla ancora più velocemente.

3. Il nome di un architetto italiano vivente al quale faresti costruire casa tua..
Domanda difficile. Partiamo dal presupposto che la cosa più sensata oggi sembra essere il costruire case passive, possibilmente di classe A: utilizzo intelligente dell’energia, totale rispetto dell’ambiente, materiali naturali e benessere. Questo senza rinunciare a spazi abitativi con quella qualità che sempre dovrebbe far parte di un’architettura, senza fermarsi alla “nuda” tecnologia. Forse più che affidarsi ad un nome in particolare si potrebbe bandire un concorso di progettazione. Molto più stimolante.

4. Il nome di un riferimento internazionale alla quale porresti dei quesiti.
I riferimenti internazionali contemporanei a si vorrebbe porre delle domande sono molti e, cercando di elencarli, sicuramente qualcuno verrebbe dimenticato. In libera associazione: Peter Zumthor, Toyo Ito, Renzo Piano, Rem Koolhaas, Bjarke Ingels e Julen De Smets, Snøhetta. I riferimenti che maggiormente ci interessano sono quelli in cui è riconoscibile un’idea, un pensiero che va oltre il formalismo.
E poi ci piacerebbe potersi confrontare con un maestro assoluto: Alvar Aalto.

5. Il nome di un libro famoso che non ti piace affatto.
È raro trovare un libro in cui non ci sia nemmeno uno spunto di riflessione interessante, mentre è più comune trovare libri noiosi da leggere anche se utili. Uno che non ho trovato particolarmente scorrevole è L’architettura della città di Aldo Rossi.

6. Il nome di un libro che invece ti ha stregato?
Ce ne sono diversi, ognuno con lo stesso valore per il periodo in cui è stato letto; l’ultimo è Peter Zumthor, Pensare architettura, edito da Electa.

7. Tema: comunicazione e architettura.
L’architettura è impregnata di comunicazione, perché il percorso che lega un incarico a un’idea a un progetto e finalmente a un’architettura è un continuo travaso di comunicazione.
Nel primo passaggio un committente, fornendo un incarico, esprime le proprie richieste e intenzioni. L’architetto dovrebbe quindi saper ascoltare, capire le richieste e leggere anche tra le righe. Spesso un’idea nasce da una suggestione, da una sensazione o da associazioni mentali assolutamente personali e quindi il passaggio da questa dimensione interiore a un progetto presuppone il riuscire a trasmettere quella sensazione alla committenza, che dovrebbe capirla e renderla propria. A questo punto è necessario il confronto con tutti quelli che, lavorando con le proprie mani, danno concretezza a ciò che fino a quel momento è ancora astratto. Da questo punto di vista il risultato finale di questo processo è sempre affascinante e sorprendente.

8. La tua rivista preferita ?
Frame, Mark, El Croquis, ma anche D di Repubblica e tutte quelle riviste meno “auliche”, che tra gli altri argomenti provano anche a scrivere di progetti e architetture rivolgendosi alle persone comuni, che non hanno almeno un dottorato, un master e qualche decina di articoli e titoli pubblicati su temi che non sempre così interessanti.

9. Quali questioni sulla comunicazione?
La comunicazione è un aspetto fondamentale non solo del lavoro di un architetto. Lo scopo del comunicare è mettere in evidenza il proprio pensiero, confrontarlo con quelli che ne hanno uno diverso, capirlo e/o contestarlo.
Focalizzando il discorso sulla comunicazione dell’architettura sarebbe opportuno riflettere sul perché sia indispensabile comunicare l’architettura e soprattutto a chi dovrebbe essere comunicata. Forse la comunicazione dell’architettura dovrebbe scendere di qualche gradino dal piedistallo in cui spesso si colloca, per rivolgersi ad un pubblico più vasto che non sia limitato agli addetti ai lavori. Certamente non è un cambiamento semplice che si può fare da un giorno all’altro per diverse ragioni, ma è fuori da ogni dubbio che in Italia ci sia una scarsa cultura diffusa dell’architettura e questo può essere visto semplicemente come una carenza oppure come una domanda implicita di maggior educazione e informazione.
Chi dovrebbe occuparsene se non le redazioni di riviste e giornali? Non dimentichiamoci che le persone comuni sono i nostri committenti, sono coloro che fanno parte delle commissioni edilizie e delle amministrazioni pubbliche, sono quelli che scrivono sulla stampa non specializzata, influenzando a loro volta l’opinione pubblica generale.
Tempo fa ci è capitato di partecipare ad una riunione straordinaria della commissione edilizia di un piccolo comune della pianura cuneese per discutere di un progetto. Durante quella riunione si è fatto riferimento al regolamento edilizio locale, dove si citava la “tipologia tradizionale” portando ad esempio degli edifici dalla pianta piuttosto articolata e piena di riseghe, con struttura in cemento armato, tavelle e pareti in mattoni forati, coperture a falde, faldine e variopinti abbaini dalle forme più improbabili.
Tipologia tradizionale? Viene spontaneo chiedersi se chi ha scritto quel regolamento edilizio abbia una vaga idea di com’è fatta una cascina e di quali siano i suoi elementi costitutivi. Viene da chiedersi come sia possibile comunicare se non ci si intende nemmeno sui verbi e sulle regole di grammatica.

10. L’Università dal tuo punto di vista...
L’Università italiana in un certo senso è una delle rappresentazioni possibili della società italiana: amante dei privilegi e del clientelismo, arrogante, decisamente poco meritocratica e non proprio incline al cambiamento. Dovendo utilizzare un’immagine per descrivere l’Università si potrebbe pensare a una corte di nobili un po’ decaduti che dall’interno delle mura “sicure” del proprio castello osserva il mondo, emanando editti che spesso non vengono nemmeno presi in considerazione se non da altri castelli.
Il paradosso è che, pur nella consapevolezza dello stato delle cose, le liste d’attesa per l’ottenimento del titolo nobiliare sono piuttosto lunghe e molte persone sono disposte ad attendere per anni il proprio turno, lamentandosi e accettando situazioni difficili. Coloro che hanno un doppio cognome in alcuni casi godono di qualche piccola agevolazione.
Un quadro di questo tipo potrebbe essere una parziale spiegazione del perché gli esiti dei concorsi internazionali riservati ai giovani architetti premiano quasi esclusivamente spagnoli, scandinavi o tedeschi, mentre i nomi italiani sono pochissimi.
Forse bisognerebbe guardare più a quelle Università che alle nostre.

11. La tua visione dell’architettura in dieci righe
Nella nostra visione di architettura sono fondamentali la comunicazione e la collaborazione: ogni progetto nasce e si sviluppa a partire da un’attenta lettura delle esigenze della committenza e dalla ricerca di una risposta semplice ed essenziale.
Il committente non è un soggetto passivo a cui si chiede semplicemente di tirar fuori i soldi necessari a soddisfare un bisogno di libertà creativa a tutti i costi e oltre ogni ragionevolezza, ma un interlocutore essenziale e soprattutto il destinatario finale del nostro lavoro.
Il committente è il punto di partenza di un processo lungo e complesso, a cui prendono parte anche coloro che hanno il compito di eseguire materialmente il lavoro.
È divertente pensare all’architettura un po’ come alla pista cifrata, il gioco de “La Settimana Enigmistica” in cui bisogna unire con un tratto di penna tutti i punti numerati progressivamente per ottenere un disegno di senso compiuto.
Il lavoro che si fa progettando un’architettura è incredibilmente simile: di solito si parte da una nuvola più o meno densa di punti che devono essere tenuti in considerazione e che costituiscono il gioco. La differenza è che in questo caso i punti non sono numerati e la vera difficoltà sta nell’individuare quell’ordine che permette di unire tutti i punti arrivando ad un risultato che abbia un significato.

12. La tua visione sulla città (e sulla periferia)
La città una delle forme di insediamento umano, probabilmente la più complessa e affascinante perché in essa si concentrano dinamiche e forze di diverso tipo: geografiche, ambientali, politiche, sociali, economiche, culturali, religiose. Essa è il luogo dove maggiormente si stratifica la storia dell’insediamento umano e per questa ragione le città non possono essere considerate come oggetti statici, ma piuttosto come fenomeni in continua evoluzione. Sono il prodotto dell’agire umano, perché vengono costruite e trasformate in ogni loro parte dagli abitanti: edifici, quartieri, piazze, parchi, infrastrutture e percorsi sono le manifestazioni fisiche di un lavoro lunghissimo, a cui ha preso parte un numero enorme di persone. È affascinante pensare che nella città si può leggere la storia e tutto ciò che oggi è visto con l’occhio della contemporaneità tra qualche decina di anni sarà diventato parte della storia stessa. Il concetto di periferia ha un suo significato in contrapposizione ad un centro e genericamente si definisce periferica un’area che si colloca ad una certa distanza dal centro stesso. Gli studi più recenti che si occupano di geografia urbana e territoriale descrivono però una realtà che sfugge al vecchio modello centro/periferia: un territorio urbanizzato e policentrico, le cui modalità di funzionamento sono influenzate in modo evidente dal crescente uso dell’automobile. Alcuni tipi di aree a forte specializzazione, come i complessi commerciali e/o industriali e i loro sterminati parcheggi, sono stati costruiti in aree periferiche per utenti automobilisti, diventando rapidamente dei poli attrattori e quindi in un certo senso dei centri, completamente diversi dal tessuto costruito di impianto storico ma altrettanto utilizzati. Anche le aree in prossimità di questi nuovi centri hanno subito dei processi di trasformazione, producendo negli anni quella che è stata definita come città diffusa, in cui i confini tra centro e periferia sono così sfumati da essere quasi inesistenti.
Certamente alla città si riconduce il concetto di urbanità, ovvero la riconoscibilità di alcune caratteristiche essenziali come una maggiore densità edilizia, la presenza di edifici di valore storico, politico-istituzionale, religioso o simbolico, un elevato mix funzionale, sociale, tipologico, spazi pubblici di qualità. Solitamente il termine periferia ha un’accezione negativa perché nei luoghi periferici viene riconosciuta una più o meno grave carenza di urbanità.

13: Cosa ne pensi della critica di architettura oggi ?
Che sia predominante rispetto all’architettura stessa. Si parla e si scrive molto più di quanto non si costruisca e sinceramente troviamo che l’architettura costruita sia comunque molto più interessante dell’architettura parlata. Rafael Moneo (La solitudine degli edifici e altri scritti, Umberto Allemandi) ha scritto che è necessario distinguere tra progetto e architettura. Un’architettura può essere definita tale soltanto nel momento in cui viene costruita e diventa edificio, mentre tutto ciò che rimane sulla carta - il progetto - appartiene ad un mondo diverso. Molto spesso la critica si occupa più di progetti che di architetture e questo, dal nostro punto di vista, rischia di renderla eccessivamente criptica ed elitaria. Questo non significa che la critica non abbia una sua importanza, anzi. Forse dovrebbe orientarsi maggiormente alla divulgazione dell’architettura, della città e del territorio ai non addetti ai lavori, gettando le basi per la costruzione di una cultura e una coscienza sociale che in Italia sono parecchio arretrate rispetto ad altre realtà europee.

14: tre libri che consiglieresti a uno studente
S, M, L, XL di Rem Koolhaas e Bruce Mau, edito da 010; “Pensare architettura” di Peter Zumthor, edito da Electa; “Minimum” a cura di John Pawson, edito da Phaidon.

15: Il tuo artista favorito (non architetto) e il tuo critico d’arte favorito.
Amo la fotografia, in particolare il carpe diem del reportage e la ricerca dell’espressività del ritratto. Elliot Erwitt, Ferdinando Scianna e più in generale l’agenzia Magnum, Robert Mapplethorpe, Helmut Newton, Oliviero Toscani e il lavoro di Fabrica.

16.oggetti e sensazioni per te (voi) importanti
Le sensazioni, le suggestioni sono alla base del nostro lavoro. Molto spesso un’idea nasce da un ricordo, da un’associazione che produce una sensazione avvertibile a pelle.
Le difficoltà principali stanno nel riuscire a trasmettere quella sensazione che si è provata e nel tradurla in forma attraverso le scelte spaziali e materiali più adatte. La sensazione migliore, forse perché le riassume tutte, è quella di benessere, intendendo la parola come il sentirsi a proprio agio in un determinato luogo. Il benessere ha componenti fisiche e psicologiche, ha a che fare con il corpo come con l’anima.

17: parole oggi importanti
Per quel che ci riguarda sostenibilità, semplicità ed essenzialità.

18.Archistar? che ne pensi
Dipende da cosa si intende per archistar: l’architetto stile George Clooney che saluta la folla in passerella oppure l’architetto che ha commesse anche al di fuori della propria nazione e il cui lavoro è ritenuto interessante?
Molti criticano le archistar, ma non va dimenticato che esistono nel momento in cui un certo sistema o modo di pensare le fa diventare tali. Nessuno si autoproclama e comunque quelli che lo fanno rischiano figuracce.
Dal nostro punto di vista è sbagliato avere l’obiettivo di diventare archistar; è molto più sensato concentrarsi sul lavoro, sui propri interessi di ricerca e sull’acquisizione di una sempre maggiore esperienza che, con il tempo, può trasformarsi in una maggior autorevolezza professionale e, perché no, in incarichi significativi.
Spesso per incarico significativo si intende un lavoro pubblico, che per la sua natura si espone all’attenzione di una parte più o meno piccola di mondo; negare o non accettare questo aspetto del nostro lavoro non sembra avere molto senso.

19.la situazione professionale dei giovani architetti in Italia.
Drammatica. Viviamo in una gerontocrazia in cui in alcune situazioni sei ritenuto “giovane” fino ai cinquant’anni, mentre in altre non sei abbastanza vecchio e non hai abbastanza esperienza se non ne hai almeno sessanta. Da un lato l’Italia sembra il paese perfetto per le crisi d’identità, dall’altro le enormi difficoltà che affrontiamo tutti i giorni sono una spinta fortissima a guardare oltre i propri confini, non accettando la rassegnazione e cercando sempre di migliorare la propria condizione.

20. un gioco: due nomi importanti per te, due architetti che butteresti giù dalla torre, due luoghi a te cari
Terrei Alvar Aalto e Peter Zumthor perché, oltre ad essere dei Maestri, nelle loro opere è sempre riconoscibile un’idea, un pensiero che dà significato alla forma. Butterei giù dalla torre Vittorio Gregotti e Marco Dezzi Bardeschi perché entrambi rappresentano diverse sfumature del mondo accademico italiano. Le architetture di Gregotti sono rigide e programmatiche, ovvero l’esatto contrario della confortevolezza. Delle architetture di Dezzi Bardeschi non se ne può più, perché è ora di smetterla di negare la contemporaneità nascondendosi dietro discutibili riproposizioni a priori di un passato che è visto come l’unico modo per lavorare nel presente.
Due luoghi che mi sono rimasti particolarmente impressi sono La cappella di Ronchamp e il Ponte Carlo a Praga.

 

 

CASA 1+1/2

dalla relazione di progetto a cura di STUDIO74

Tema di questo progetto è la ristrutturazione di un’unità abitativa di 40mq con recupero ad uso abitativo del sottotetto di pertinenza.
Il piccolo appartamento è ubicato al quarto piano di un condominio nella Cuneo di impianto medievale e una delle sua particolarità è senza dubbio la visuale.
Dal piccolo balcone e dalle finestre si gode infatti la vista dei tetti e dei campanili del centro storico: la Torre Civica, la chiesa di Santa Croce e, più in lontananza, la chiesa di San Francesco.
Il difetto principale della vecchia abitazione riguardava la dimensione ristretta e la scarsa luminosità dei diversi ambienti.
Lo spazio era infatti suddiviso in quattro piccole stanze (ingresso, cucina, camera da letto, bagno) scarsamente illuminate a causa della distribuzione non ottimale delle aperture esterne. Il sottotetto di pertinenza era separato dalla casa ed era accessibile solo attraverso una botola collocata sul soffitto del vano scale condominiale. Paradossalmente il bagno godeva dell’orientamento migliore e del maggior numero di finestre; inoltre l’unico accesso al balcone esterno avveniva dalla camera da letto.

Il progetto di ristrutturazione è costruito su una logica estremamente semplice ed opposta alle caratteristiche problematiche dell’abitazione: in alternativa alla ridotta dimensione e alla frammentazione degli ambienti si propone la maggior dilatazione possibile dello spazio domestico; in contrasto con la scarsa luminosità delle stanze si ricerca un maggior ingresso di luce naturale attraverso un lungo taglio nel tetto.
In accordo con questa logica le suddivisioni dei vecchi tramezzi e del controsoffitto sono state eliminate in favore di un unico ambiente completamente dipinto di bianco, per ottenere la massima luminosità dovuta alla riflessione delle pareti e del pavimento in rovere sbiancato.
La vecchia struttura lignea del tetto era piuttosto deteriorata e ingombrante, perciò è stata rimossa e sostituita con una nuova struttura in acciaio più esile, che ha permesso di recuperare spazio utile all’interno della casa.
Il nuovo tetto è stato opportunamente isolato e predisposto per la microventilazione sotto tegola, mentre per i lucernari è stata prevista la possibilità di schermatura con tapparelle esterne controllate elettricamente a distanza. La progettazione accurata del tipo di isolamento del tetto, combinata con l’elevata inerzia termica delle spesse pareti murarie in mattoni ha come obiettivo la ricerca del massimo confort abitativo sia in situazione estiva che invernale.

Il nuovo schema distributivo dell’appartamento è concepito per razionalizzarne gli spazi, concentrando i servizi (bagno e cabina armadi) nella parte meno luminosa della casa e valorizzando la zona giorno con la doppia altezza e i diversi toni di bianco delle pareti.
La muratura esistente non è intonacata ma semplicemente tinteggiata di un bianco écru che lascia intravedere le diverse tessiture, esaltandone la ruvidità e la diversità dai nuovi elementi.
All’interno dello spazio a doppia altezza si inserisce un volume dalle geometrie essenziali e dalle superfici lisce: esternamente è dipinto di bianco ghiaccio, mentre all’interno è completamente rivestito con pannelli di legno industriale di tipo OSB. Questa “scatola” racchiude il bagno e la cabina armadi.
L’annessione del volume del sottotetto a quello dell’abitazione ha reso possibile lo sfruttamento della parte superiore della cabina armadi (a cui si può accedere per mezzo di una scala), incrementando di fatto la superficie utile dell’appartamento.
Questa soluzione fa sì che dalla zona letto si possa godere di una vista dall’alto sullo spazio aperto della casa, che non compromette la privacy.

 

Il gioco dei contrasti è senza dubbio il tratto essenziale del progetto, evidente sia nella caratterizzazione complessiva dello spazio abitativo, sia nei dettagli esecutivi del blocco contenente i servizi.
Da un lato leggere differenziazioni nelle tonalità di bianco (freddo e caldo) e nel trattamento superficiale delle pareti (liscio e ruvido); dall’altro il design minimale ed essenziale di un elemento che da un lato si presenta bianco, spigoloso e perfettamente liscio, mentre dall’altro rivela il calore delle scaglie di legno.
La luce zenitale proveniente dal lungo taglio vetrato del tetto illumina in modo morbido e uniforme lo spazio dell’abitazione e la doppia altezza rende i 40mq della casa particolarmente spaziosi.

 

BEFORE: UN NUOVO NEGOZIO DI ABBIGLIAMENTO A CUNEO

dalla relazione di progetto a cura di STUDIO74


Premessa
Nella maggior parte dei casi il negozio di abbigliamento è costituito da due elementi: la vetrina visibile dall’esterno, con funzione di esposizione e richiamo della clientela, e lo spazio commerciale interno, destinato alla vendita dei capi. Il primo è fruibile liberamente da tutti, mentre il secondo è destinato solo a chi entra e spesso è messo in secondo piano rispetto al prodotto in vendita o agli espositori.
Il progetto del negozio “Before” rivoluziona questo tipo di struttura fatta di due parti che agiscono separatamente, proponendo invece un’idea in cui il contenitore (lo spazio interno) ed il contenuto (gli abiti) hanno uguale importanza per caratterizzare e valorizzare l’identità del negozio stesso. La vetrina non si riduce a ciò che è adiacente all’apertura della parete, ma l’intero negozio viene concepito come una vetrina, il cui spazio è il vero protagonista.

Concept
Il negozio in questione si trova al piano terreno di un edificio ottocentesco sito in via Barbaroux, a poche decine di metri dai portici di via Roma e da Piazza Galimberti. Lo spazio è caratterizzato da pareti murarie di notevole spessore, da un pavimento in tavole di larice, da archi e volte a diversa geometria. L’attuale esercizio commerciale sostituisce una jeanseria illuminata con neon industriali, stipata con mensole metalliche e arredi completamente verniciati in grigio. Una decina di anni fa la vecchia jeanseria prese il posto di una macelleria, che a sua volta sostituì un negozio di frutta e verdura.
La storia di questo spazio è fatta quindi di sovrapposizioni, di segni che ancora oggi sono visibili e che il progetto sceglie di non eliminare, ma di ripensare e di integrare, proiettandoli nell’identità contemporanea. Le tracce della presenza di altre attività, le diverse textures della muratura e le sue imperfezioni vengono esaltate dalla “ricchezza” della doratura e dal colore caldo della luce ad incandescenza.
L’elemento “nuovo” che si inserisce nella storia di questo spazio è il box luminoso della reception, un volume scatolare retroilluminato caratterizzato da astrattezza, rigore geometrico e linee minimali. La luce fredda dei tubi neon che emana da questo volume in materiale plastico si propone come un punto di riferimento che lega visivamente e funzionalmente le tre cellule voltate, sostenendo apparentemente il peso delle murature.
L’obiettivo progettuale perseguito è la ricerca di un giusto equilibrio tra storia e contemporaneità, che occhieggia al colore dorato di una tela di Klimt come al bianco purismo di Le Corbusier.

Il progetto
L’intervento si concentra su tre aspetti ritenuti fondamentali per caratterizzare la nuova architettura del negozio: il trattamento di pareti e volte, il disegno del box reception e degli elementi di arredo, la scelta delle diverse sorgenti di luce artificiale.
Le superfici verticali e voltate che delimitano le tre cellule in cui è suddiviso lo spazio del negozio sono caratterizzate da un patchwork di materiali diversi: lastre di marmo di grande formato e porzioni di muratura in mattoni e ciottoli a vista, intonaco a base di calce. Questa forte matericità viene esaltata dalla tinteggiatura color oro, applicata su tutte le pareti dopo aver steso una base in color verde ossido di cromo che ne esalta la brillantezza dei riflessi.

Il box reception è collocato nella cellula voltata centrale in corrispondenza dell’accesso; è senza dubbio l’elemento principale del progetto ed è stato concepito come una grande scatola luminosa che lega visivamente e funzionalmente le tre stanze del negozio.
La difficoltà principale è stata senza dubbio nascondere la struttura portante in acciaio, in modo che la diffusione della luce potesse essere il più possibile omogenea: su di essa sono fissati i pannelli di truciolare laccati in bianco che fanno da base per la posa dei tubi al neon.
Le lastre bianche in perspex 12mm che costituiscono la pelle esterna sono state tagliate a 45° sugli spigoli ed incollate a caldo in officina per ottenere delle scocche rigide che potessero essere facilmente rimosse per la manutenzione dell’impianto elettrico.
Allo stesso modo gli elementi di arredo sono caratterizzati da una semplicità ed un rigore geometrico che si pongono in equilibrio con le fluidità e le linee curve delle superfici voltate esistenti. Gli espositori sono ridotti all’essenza: i semplici telai in acciaio inox satinato e lastre in cristallo temprato possono essere utilizzati sia come piani di appoggio, sia come appenderie.
In questo modo gli arredi non interferiscono visivamente con i capi esposti e possono essere facilmente adattati ai comuni cambiamenti nelle esigenze espositive della committenza: gli elementi modulari possono infatti essere accostati alle pareti o raggruppati al centro dei diversi ambienti.

Le sorgenti di luce artificiale che disegnano lo spazio del negozio sono di due tipi: la cellula voltata centrale in corrispondenza dell’accesso è illuminata dalla luce bianca del box luminoso, la cui intensità è regolabile grazie ad un dimmer elettronico.
Nelle due cellule laterali prevale invece la luce ad incandescenza, rispettivamente nel lampadario Taraxacum commercializzato da Flos e dalle tesate Scintilla di FontanaArte.
Il negozio si configura quindi come un luogo fatto di compresenza di opposti: così come storia e contemporaneità convivono nelle forme presenti all’interno nello spazio, lo stesso succede per la luce calda e quella fredda, le cui variazioni restituiscono immagini molto diverse, per esempio, dal giorno alla notte.
Un semplice tappeto in canapa, due poltrone di Moroso ed un’opera di Achille Castiglioni aggiungono poi un riferimento visivo ed emotivo alla casa, richiamando alla mente un soggiorno più che un luogo dove si deve comprare. Qui ci si può rilassare sfogliando una rivista mentre si aspetta di provare un paio di jeans sentendosi ospiti, a proprio agio ma con stile.


 

STUDIO74


STUDIO74 nasce a Cuneo nel gennaio 2005 dalla collaborazione professionale di Claudio Bonicco e Andrea Lo Papa, due giovani architetti legati dall'amicizia e da una profonda passione per il proprio lavoro. I progetti e le realizzazioni dello studio ottengono da subito riconoscimenti nazionali e nternazionali: nel 2006 vincono il PAI (Premio di Architettura e Ingegneria degli Ordini Professionali di
Cuneo, Savona e Imperia) nella categoria “Sistemazione di Spazi Interni e Design” e ontemporaneamente il Premio “Vuoto a Colmare”, concorso regionale per la valorizzazione di professionalità emergenti nel campo dell'ingegneria e nell'architettura in Piemonte. Nello stesso anno sono invitati a partecipare ad un concorso per la realizzazione di un edificio residenziale multipiano nel centro storico di Riga, capitale della Lettonia, vincendo il secondo premio. Nel 2008 vincono nuovamente il PAI e contemporaneamente
vengono selezionati tra 500 candidature per la mostra Rizoma Biennale dei Giovani Architetti Italiani.

Contact:

via carlo emanuele III n°36
12100 cuneo
ITALIA

www.studio74.biz | studio74@studio74.biz


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Ideazione e realizzazione Airaldi Giacomo - Luogo di pubblicazione: Italia - Hosting by: Aruba.it- Update: 30 Settembre, 2008