PRESENTAZIONE
di giacomo airaldi | airaldi@archandweb.com
| immagini gentilmernte fornite da STUDIO74
La maratona delle idee
L'occasione delle mostre dei progetti partecipanti al Premio
PAI 2008, mi ha dato la possibilità di conoscere personalmente
ed apprezzare un giovane gruppo cuneese: Studio74. Lo studio
è stato fondato nel 2005 dalla passione e dall'amicizia
tra Claudio Boniccio e Andrea Lo Papa. Entrambi giovanissimi
architetti hanno un'unica ed indiscutibile dote: L'orgoglio
del progettare. Questa loro passione viscerale quasi
si avverte a vista, nel loro modo di porsi, nel discutere
e nel commentare, nel loro vestire, nel loro dialogare e innescare
meccanismi. Anche loro, come moltissimi giovanissimi e bravissimo
architetti italiani, si trovano ogni giorno e stancamente
a dover affrontare una dura ma interresante maratona.
La maratona delle idee. Una affascinante maratona
piena di ostacoli, fatica, salite, improvvisi arresti e saliscendi,
in nome di una delle più alte attività dell'uomo
il progettare. Arrivano da Cuneo e hanno
deciso di rimanerci e di viverci. Definiscono il luogo dove
lavorano la "provincia ambivalente"
in quanto da un "lato può essere difficilema
ma anche più facile di altrove lavorare in queste zone
di confine, stimolante anche deprimente, ricco di oppurtunità
o chiuso, estremamente chiaro o denso di contraddizioni e
crisi di identità." Probabilmente (o utopicamente
?) è una questione di attitudine." Hanno
le idee chiare però, scalpitano e vengono segnalati
per ben due volte al PAI ricevondo l'attenzione da parte dei
media. Cercano di emergere consapevoli che lavorare oggi,
ma sopratutto lavorare in italia oggi per due giovani architetti
è cosa dura ma giuta, vecchio discorso oramai trito
e ritrito. Vivono in provincia ma sono city user, gravitano
attorno al mondo accademico torinese, succhiano linfa vitale
dalla città; dalle sue potenzialità e dalle
opportunità, le fanno loro, le portano a casa in un
fazzoletto per poi ridistribuirle ai loro clienti ( per lo
più privati) e le loro piccolissime realizzazioni(
piccole in scala certo) ma dai forti contenuti e dal prezioso
dettaglio. Attenzione per il dettaglio appunto, attenzione
per le esigenze del cliente, attenta analisi del bugget sono
elementi a loro famliari. Affrontano con lo stesso impegno
il piccolo incarico di provincia o il concorso internazionale.
Il loro non è un approccio ma un filone di ricerca
che nasce e si evolve ed in cui ogni tappa è un progetto.
Non vogliamo parlare di loro , lasciamo a voi giudicare, gli
abbiamo fatto 20 domante che hanno innescato altre mille questioni.
Una bella chiacchierata in forma digitale affiancata dalla
presentazioni di due loro realizzazioni segnalae e vincitrici
del PAI. Continuano la loro maratona delle idee, con l'orgoglio
del progetto, con le idee da mettere sempre in discussione.
I risultatai già si vedono ma le aspettative per progetti
futuri sono quelle che ci daranno le migliori soddifazioni...
ne sono certo! Ecco a voi STUDIO74
INTERVISTA a STUDIO74
a cura di giacomo airaldi | airaldi@archandweb.com
1. Una auto-presentazione in quattro
righe...
STUDIO74 è un piccolissimo studio di architettura composto
di due persone, più una rete di amici e collaboratori
che all’occorrenza partecipano ai lavori più
impegnativi. La nostra filosofia di lavoro è improntata
ad una continua ricerca e sperimentazione, costruita prima
di tutto sull’ascoltare: la storia o la contemporaneità,
i luoghi, le emozioni e le persone. Al centro del percorso
di ricerca c’è sempre un’idea, che viene
cercata nella semplicità ed è approfondita eliminando
ciò che è inutile o superfluo. L’idea
viene individuata, messa a fuoco e gradualmente tradotta in
forma e materia; ogni fase del lavoro, dai primi scarabocchi,
ai disegni esecutivi, alle simulazioni, alla verifica dell’esecuzione
in cantiere è improntata alla massima attenzione e
cura per ogni dettaglio concettuale ed esecutivo del progetto.
2. Cosa ne pensi della comunicazione
tramite il web in Italia oggi?
Crediamo che la comunicazione tramite il web (in Italia come
nel resto del mondo) abbia enormi potenzialità ma anche
qualche rischio.
La natura ipertestuale di internet permette una notevole facilità
di accesso ad informazioni anche molto diverse tra di loro:
testi, immagini, commenti, disegni, schemi e contatti possono
essere trovati, confrontati ed analizzati con pochi click.
Il rischio maggiore è quello della presenza di molta
spazzatura mediatica e/o di trattare le migliaia di Kbyte
di informazioni a disposizione in modo superficiale. Forse
la lentezza del tempo che si spendeva in una biblioteca a
sfogliare i libri e riviste non era poi così negativa,
perché permetteva di assorbire e metabolizzare, mentre
spesso oggi capita di vedere o leggere una cosa velocemente
e dimenticarla ancora più velocemente.
3. Il nome di un architetto italiano
vivente al quale faresti costruire casa tua..
Domanda difficile. Partiamo dal presupposto che la cosa più
sensata oggi sembra essere il costruire case passive, possibilmente
di classe A: utilizzo intelligente dell’energia, totale
rispetto dell’ambiente, materiali naturali e benessere.
Questo senza rinunciare a spazi abitativi con quella qualità
che sempre dovrebbe far parte di un’architettura, senza
fermarsi alla “nuda” tecnologia. Forse più
che affidarsi ad un nome in particolare si potrebbe bandire
un concorso di progettazione. Molto più stimolante.
4. Il nome di un riferimento internazionale
alla quale porresti dei quesiti.
I riferimenti internazionali contemporanei a si vorrebbe porre
delle domande sono molti e, cercando di elencarli, sicuramente
qualcuno verrebbe dimenticato. In libera associazione: Peter
Zumthor, Toyo Ito, Renzo Piano, Rem Koolhaas, Bjarke Ingels
e Julen De Smets, Snøhetta. I riferimenti che maggiormente
ci interessano sono quelli in cui è riconoscibile un’idea,
un pensiero che va oltre il formalismo.
E poi ci piacerebbe potersi confrontare con un maestro assoluto:
Alvar Aalto.
5. Il nome di un libro famoso che
non ti piace affatto.
È raro trovare un libro in cui non ci sia nemmeno uno
spunto di riflessione interessante, mentre è più
comune trovare libri noiosi da leggere anche se utili. Uno
che non ho trovato particolarmente scorrevole è L’architettura
della città di Aldo Rossi.
6. Il nome di un libro che invece
ti ha stregato?
Ce ne sono diversi, ognuno con lo stesso valore per il periodo
in cui è stato letto; l’ultimo è Peter
Zumthor, Pensare architettura, edito da Electa.
7. Tema: comunicazione e architettura.
L’architettura è impregnata di comunicazione,
perché il percorso che lega un incarico a un’idea
a un progetto e finalmente a un’architettura è
un continuo travaso di comunicazione.
Nel primo passaggio un committente, fornendo un incarico,
esprime le proprie richieste e intenzioni. L’architetto
dovrebbe quindi saper ascoltare, capire le richieste e leggere
anche tra le righe. Spesso un’idea nasce da una suggestione,
da una sensazione o da associazioni mentali assolutamente
personali e quindi il passaggio da questa dimensione interiore
a un progetto presuppone il riuscire a trasmettere quella
sensazione alla committenza, che dovrebbe capirla e renderla
propria. A questo punto è necessario il confronto con
tutti quelli che, lavorando con le proprie mani, danno concretezza
a ciò che fino a quel momento è ancora astratto.
Da questo punto di vista il risultato finale di questo processo
è sempre affascinante e sorprendente.
8. La tua rivista preferita ?
Frame, Mark, El Croquis, ma anche D di Repubblica e tutte
quelle riviste meno “auliche”, che tra gli altri
argomenti provano anche a scrivere di progetti e architetture
rivolgendosi alle persone comuni, che non hanno almeno un
dottorato, un master e qualche decina di articoli e titoli
pubblicati su temi che non sempre così interessanti.
9. Quali questioni sulla comunicazione?
La comunicazione è un aspetto fondamentale non solo
del lavoro di un architetto. Lo scopo del comunicare è
mettere in evidenza il proprio pensiero, confrontarlo con
quelli che ne hanno uno diverso, capirlo e/o contestarlo.
Focalizzando il discorso sulla comunicazione dell’architettura
sarebbe opportuno riflettere sul perché sia indispensabile
comunicare l’architettura e soprattutto a chi dovrebbe
essere comunicata. Forse la comunicazione dell’architettura
dovrebbe scendere di qualche gradino dal piedistallo in cui
spesso si colloca, per rivolgersi ad un pubblico più
vasto che non sia limitato agli addetti ai lavori. Certamente
non è un cambiamento semplice che si può fare
da un giorno all’altro per diverse ragioni, ma è
fuori da ogni dubbio che in Italia ci sia una scarsa cultura
diffusa dell’architettura e questo può essere
visto semplicemente come una carenza oppure come una domanda
implicita di maggior educazione e informazione.
Chi dovrebbe occuparsene se non le redazioni di riviste e
giornali? Non dimentichiamoci che le persone comuni sono i
nostri committenti, sono coloro che fanno parte delle commissioni
edilizie e delle amministrazioni pubbliche, sono quelli che
scrivono sulla stampa non specializzata, influenzando a loro
volta l’opinione pubblica generale.
Tempo fa ci è capitato di partecipare ad una riunione
straordinaria della commissione edilizia di un piccolo comune
della pianura cuneese per discutere di un progetto. Durante
quella riunione si è fatto riferimento al regolamento
edilizio locale, dove si citava la “tipologia tradizionale”
portando ad esempio degli edifici dalla pianta piuttosto articolata
e piena di riseghe, con struttura in cemento armato, tavelle
e pareti in mattoni forati, coperture a falde, faldine e variopinti
abbaini dalle forme più improbabili.
Tipologia tradizionale? Viene spontaneo chiedersi se chi ha
scritto quel regolamento edilizio abbia una vaga idea di com’è
fatta una cascina e di quali siano i suoi elementi costitutivi.
Viene da chiedersi come sia possibile comunicare se non ci
si intende nemmeno sui verbi e sulle regole di grammatica.
10. L’Università dal
tuo punto di vista...
L’Università italiana in un certo senso è
una delle rappresentazioni possibili della società
italiana: amante dei privilegi e del clientelismo, arrogante,
decisamente poco meritocratica e non proprio incline al cambiamento.
Dovendo utilizzare un’immagine per descrivere l’Università
si potrebbe pensare a una corte di nobili un po’ decaduti
che dall’interno delle mura “sicure” del
proprio castello osserva il mondo, emanando editti che spesso
non vengono nemmeno presi in considerazione se non da altri
castelli.
Il paradosso è che, pur nella consapevolezza dello
stato delle cose, le liste d’attesa per l’ottenimento
del titolo nobiliare sono piuttosto lunghe e molte persone
sono disposte ad attendere per anni il proprio turno, lamentandosi
e accettando situazioni difficili. Coloro che hanno un doppio
cognome in alcuni casi godono di qualche piccola agevolazione.
Un quadro di questo tipo potrebbe essere una parziale spiegazione
del perché gli esiti dei concorsi internazionali riservati
ai giovani architetti premiano quasi esclusivamente spagnoli,
scandinavi o tedeschi, mentre i nomi italiani sono pochissimi.
Forse bisognerebbe guardare più a quelle Università
che alle nostre.
11. La tua visione dell’architettura
in dieci righe
Nella nostra visione di architettura sono fondamentali la
comunicazione e la collaborazione: ogni progetto nasce e si
sviluppa a partire da un’attenta lettura delle esigenze
della committenza e dalla ricerca di una risposta semplice
ed essenziale.
Il committente non è un soggetto passivo a cui si chiede
semplicemente di tirar fuori i soldi necessari a soddisfare
un bisogno di libertà creativa a tutti i costi e oltre
ogni ragionevolezza, ma un interlocutore essenziale e soprattutto
il destinatario finale del nostro lavoro.
Il committente è il punto di partenza di un processo
lungo e complesso, a cui prendono parte anche coloro che hanno
il compito di eseguire materialmente il lavoro.
È divertente pensare all’architettura un po’
come alla pista cifrata, il gioco de “La Settimana Enigmistica”
in cui bisogna unire con un tratto di penna tutti i punti
numerati progressivamente per ottenere un disegno di senso
compiuto.
Il lavoro che si fa progettando un’architettura è
incredibilmente simile: di solito si parte da una nuvola più
o meno densa di punti che devono essere tenuti in considerazione
e che costituiscono il gioco. La differenza è che in
questo caso i punti non sono numerati e la vera difficoltà
sta nell’individuare quell’ordine che permette
di unire tutti i punti arrivando ad un risultato che abbia
un significato.
12. La tua visione sulla città
(e sulla periferia)
La città una delle forme di insediamento umano, probabilmente
la più complessa e affascinante perché in essa
si concentrano dinamiche e forze di diverso tipo: geografiche,
ambientali, politiche, sociali, economiche, culturali, religiose.
Essa è il luogo dove maggiormente si stratifica la
storia dell’insediamento umano e per questa ragione
le città non possono essere considerate come oggetti
statici, ma piuttosto come fenomeni in continua evoluzione.
Sono il prodotto dell’agire umano, perché vengono
costruite e trasformate in ogni loro parte dagli abitanti:
edifici, quartieri, piazze, parchi, infrastrutture e percorsi
sono le manifestazioni fisiche di un lavoro lunghissimo, a
cui ha preso parte un numero enorme di persone. È affascinante
pensare che nella città si può leggere la storia
e tutto ciò che oggi è visto con l’occhio
della contemporaneità tra qualche decina di anni sarà
diventato parte della storia stessa. Il concetto di periferia
ha un suo significato in contrapposizione ad un centro e genericamente
si definisce periferica un’area che si colloca ad una
certa distanza dal centro stesso. Gli studi più recenti
che si occupano di geografia urbana e territoriale descrivono
però una realtà che sfugge al vecchio modello
centro/periferia: un territorio urbanizzato e policentrico,
le cui modalità di funzionamento sono influenzate in
modo evidente dal crescente uso dell’automobile. Alcuni
tipi di aree a forte specializzazione, come i complessi commerciali
e/o industriali e i loro sterminati parcheggi, sono stati
costruiti in aree periferiche per utenti automobilisti, diventando
rapidamente dei poli attrattori e quindi in un certo senso
dei centri, completamente diversi dal tessuto costruito di
impianto storico ma altrettanto utilizzati. Anche le aree
in prossimità di questi nuovi centri hanno subito dei
processi di trasformazione, producendo negli anni quella che
è stata definita come città diffusa, in cui
i confini tra centro e periferia sono così sfumati
da essere quasi inesistenti.
Certamente alla città si riconduce il concetto di urbanità,
ovvero la riconoscibilità di alcune caratteristiche
essenziali come una maggiore densità edilizia, la presenza
di edifici di valore storico, politico-istituzionale, religioso
o simbolico, un elevato mix funzionale, sociale, tipologico,
spazi pubblici di qualità. Solitamente il termine periferia
ha un’accezione negativa perché nei luoghi periferici
viene riconosciuta una più o meno grave carenza di
urbanità.
13: Cosa ne pensi della critica di
architettura oggi ?
Che sia predominante rispetto all’architettura stessa.
Si parla e si scrive molto più di quanto non si costruisca
e sinceramente troviamo che l’architettura costruita
sia comunque molto più interessante dell’architettura
parlata. Rafael Moneo (La solitudine degli edifici e altri
scritti, Umberto Allemandi) ha scritto che è necessario
distinguere tra progetto e architettura. Un’architettura
può essere definita tale soltanto nel momento in cui
viene costruita e diventa edificio, mentre tutto ciò
che rimane sulla carta - il progetto - appartiene ad un mondo
diverso. Molto spesso la critica si occupa più di progetti
che di architetture e questo, dal nostro punto di vista, rischia
di renderla eccessivamente criptica ed elitaria. Questo non
significa che la critica non abbia una sua importanza, anzi.
Forse dovrebbe orientarsi maggiormente alla divulgazione dell’architettura,
della città e del territorio ai non addetti ai lavori,
gettando le basi per la costruzione di una cultura e una coscienza
sociale che in Italia sono parecchio arretrate rispetto ad
altre realtà europee.
14: tre libri che consiglieresti a
uno studente
S, M, L, XL di Rem Koolhaas e Bruce Mau, edito da 010; “Pensare
architettura” di Peter Zumthor, edito da Electa; “Minimum”
a cura di John Pawson, edito da Phaidon.
15: Il tuo artista favorito (non architetto)
e il tuo critico d’arte favorito.
Amo la fotografia, in particolare il carpe diem del reportage
e la ricerca dell’espressività del ritratto.
Elliot Erwitt, Ferdinando Scianna e più in generale
l’agenzia Magnum, Robert Mapplethorpe, Helmut Newton,
Oliviero Toscani e il lavoro di Fabrica.
16.oggetti e sensazioni per te (voi)
importanti
Le sensazioni, le suggestioni sono alla base del nostro lavoro.
Molto spesso un’idea nasce da un ricordo, da un’associazione
che produce una sensazione avvertibile a pelle.
Le difficoltà principali stanno nel riuscire a trasmettere
quella sensazione che si è provata e nel tradurla in
forma attraverso le scelte spaziali e materiali più
adatte. La sensazione migliore, forse perché le riassume
tutte, è quella di benessere, intendendo la parola
come il sentirsi a proprio agio in un determinato luogo. Il
benessere ha componenti fisiche e psicologiche, ha a che fare
con il corpo come con l’anima.
17: parole oggi importanti
Per quel che ci riguarda sostenibilità, semplicità
ed essenzialità.
18.Archistar? che ne pensi
Dipende da cosa si intende per archistar: l’architetto
stile George Clooney che saluta la folla in passerella oppure
l’architetto che ha commesse anche al di fuori della
propria nazione e il cui lavoro è ritenuto interessante?
Molti criticano le archistar, ma non va dimenticato che esistono
nel momento in cui un certo sistema o modo di pensare le fa
diventare tali. Nessuno si autoproclama e comunque quelli
che lo fanno rischiano figuracce.
Dal nostro punto di vista è sbagliato avere l’obiettivo
di diventare archistar; è molto più sensato
concentrarsi sul lavoro, sui propri interessi di ricerca e
sull’acquisizione di una sempre maggiore esperienza
che, con il tempo, può trasformarsi in una maggior
autorevolezza professionale e, perché no, in incarichi
significativi.
Spesso per incarico significativo si intende un lavoro pubblico,
che per la sua natura si espone all’attenzione di una
parte più o meno piccola di mondo; negare o non accettare
questo aspetto del nostro lavoro non sembra avere molto senso.
19.la situazione professionale dei
giovani architetti in Italia.
Drammatica. Viviamo in una gerontocrazia in cui in alcune
situazioni sei ritenuto “giovane” fino ai cinquant’anni,
mentre in altre non sei abbastanza vecchio e non hai abbastanza
esperienza se non ne hai almeno sessanta. Da un lato l’Italia
sembra il paese perfetto per le crisi d’identità,
dall’altro le enormi difficoltà che affrontiamo
tutti i giorni sono una spinta fortissima a guardare oltre
i propri confini, non accettando la rassegnazione e cercando
sempre di migliorare la propria condizione.
20. un gioco: due nomi importanti
per te, due architetti che butteresti giù dalla torre,
due luoghi a te cari
Terrei Alvar Aalto e Peter Zumthor perché, oltre ad
essere dei Maestri, nelle loro opere è sempre riconoscibile
un’idea, un pensiero che dà significato alla
forma. Butterei giù dalla torre Vittorio Gregotti e
Marco Dezzi Bardeschi perché entrambi rappresentano
diverse sfumature del mondo accademico italiano. Le architetture
di Gregotti sono rigide e programmatiche, ovvero l’esatto
contrario della confortevolezza. Delle architetture di Dezzi
Bardeschi non se ne può più, perché è
ora di smetterla di negare la contemporaneità nascondendosi
dietro discutibili riproposizioni a priori di un passato che
è visto come l’unico modo per lavorare nel presente.
Due luoghi che mi sono rimasti particolarmente impressi sono
La cappella di Ronchamp e il Ponte Carlo a Praga.
CASA 1+1/2
dalla relazione di progetto a cura
di STUDIO74
Tema di questo progetto è la ristrutturazione di un’unità
abitativa di 40mq con recupero ad uso abitativo del sottotetto
di pertinenza.
Il piccolo appartamento è ubicato al quarto piano di
un condominio nella Cuneo di impianto medievale e una delle
sua particolarità è senza dubbio la visuale.
Dal piccolo balcone e dalle finestre si gode infatti la vista
dei tetti e dei campanili del centro storico: la Torre Civica,
la chiesa di Santa Croce e, più in lontananza, la chiesa
di San Francesco.
Il difetto principale della vecchia abitazione riguardava
la dimensione ristretta e la scarsa luminosità dei
diversi ambienti.
Lo spazio era infatti suddiviso in quattro piccole stanze
(ingresso, cucina, camera da letto, bagno) scarsamente illuminate
a causa della distribuzione non ottimale delle aperture esterne.
Il sottotetto di pertinenza era separato dalla casa ed era
accessibile solo attraverso una botola collocata sul soffitto
del vano scale condominiale. Paradossalmente il bagno godeva
dell’orientamento migliore e del maggior numero di finestre;
inoltre l’unico accesso al balcone esterno avveniva
dalla camera da letto.
Il progetto di ristrutturazione è costruito su una
logica estremamente semplice ed opposta alle caratteristiche
problematiche dell’abitazione: in alternativa alla ridotta
dimensione e alla frammentazione degli ambienti si propone
la maggior dilatazione possibile dello spazio domestico; in
contrasto con la scarsa luminosità delle stanze si
ricerca un maggior ingresso di luce naturale attraverso un
lungo taglio nel tetto.
In accordo con questa logica le suddivisioni dei vecchi tramezzi
e del controsoffitto sono state eliminate in favore di un
unico ambiente completamente dipinto di bianco, per ottenere
la massima luminosità dovuta alla riflessione delle
pareti e del pavimento in rovere sbiancato.
La vecchia struttura lignea del tetto era piuttosto deteriorata
e ingombrante, perciò è stata rimossa e sostituita
con una nuova struttura in acciaio più esile, che ha
permesso di recuperare spazio utile all’interno della
casa.
Il nuovo tetto è stato opportunamente isolato e predisposto
per la microventilazione sotto tegola, mentre per i lucernari
è stata prevista la possibilità di schermatura
con tapparelle esterne controllate elettricamente a distanza.
La progettazione accurata del tipo di isolamento del tetto,
combinata con l’elevata inerzia termica delle spesse
pareti murarie in mattoni ha come obiettivo la ricerca del
massimo confort abitativo sia in situazione estiva che invernale.
Il nuovo schema distributivo dell’appartamento è
concepito per razionalizzarne gli spazi, concentrando i servizi
(bagno e cabina armadi) nella parte meno luminosa della casa
e valorizzando la zona giorno con la doppia altezza e i diversi
toni di bianco delle pareti.
La muratura esistente non è intonacata ma semplicemente
tinteggiata di un bianco écru che lascia intravedere
le diverse tessiture, esaltandone la ruvidità e la
diversità dai nuovi elementi.
All’interno dello spazio a doppia altezza si inserisce
un volume dalle geometrie essenziali e dalle superfici lisce:
esternamente è dipinto di bianco ghiaccio, mentre all’interno
è completamente rivestito con pannelli di legno industriale
di tipo OSB. Questa “scatola” racchiude il bagno
e la cabina armadi.
L’annessione del volume del sottotetto a quello dell’abitazione
ha reso possibile lo sfruttamento della parte superiore della
cabina armadi (a cui si può accedere per mezzo di una
scala), incrementando di fatto la superficie utile dell’appartamento.
Questa soluzione fa sì che dalla zona letto si possa
godere di una vista dall’alto sullo spazio aperto della
casa, che non compromette la privacy.
Il gioco dei contrasti è senza dubbio il tratto essenziale
del progetto, evidente sia nella caratterizzazione complessiva
dello spazio abitativo, sia nei dettagli esecutivi del blocco
contenente i servizi.
Da un lato leggere differenziazioni nelle tonalità
di bianco (freddo e caldo) e nel trattamento superficiale
delle pareti (liscio e ruvido); dall’altro il design
minimale ed essenziale di un elemento che da un lato si presenta
bianco, spigoloso e perfettamente liscio, mentre dall’altro
rivela il calore delle scaglie di legno.
La luce zenitale proveniente dal lungo taglio vetrato del
tetto illumina in modo morbido e uniforme lo spazio dell’abitazione
e la doppia altezza rende i 40mq della casa particolarmente
spaziosi.
BEFORE: UN NUOVO NEGOZIO
DI ABBIGLIAMENTO A CUNEO
dalla relazione di progetto a cura
di STUDIO74
Premessa
Nella maggior parte dei casi il negozio di abbigliamento è
costituito da due elementi: la vetrina visibile dall’esterno,
con funzione di esposizione e richiamo della clientela, e
lo spazio commerciale interno, destinato alla vendita dei
capi. Il primo è fruibile liberamente da tutti, mentre
il secondo è destinato solo a chi entra e spesso è
messo in secondo piano rispetto al prodotto in vendita o agli
espositori.
Il progetto del negozio “Before” rivoluziona questo
tipo di struttura fatta di due parti che agiscono separatamente,
proponendo invece un’idea in cui il contenitore (lo
spazio interno) ed il contenuto (gli abiti) hanno uguale importanza
per caratterizzare e valorizzare l’identità del
negozio stesso. La vetrina non si riduce a ciò che
è adiacente all’apertura della parete, ma l’intero
negozio viene concepito come una vetrina, il cui spazio è
il vero protagonista.
Concept
Il negozio in questione si trova al piano terreno di un edificio
ottocentesco sito in via Barbaroux, a poche decine di metri
dai portici di via Roma e da Piazza Galimberti. Lo spazio
è caratterizzato da pareti murarie di notevole spessore,
da un pavimento in tavole di larice, da archi e volte a diversa
geometria. L’attuale esercizio commerciale sostituisce
una jeanseria illuminata con neon industriali, stipata con
mensole metalliche e arredi completamente verniciati in grigio.
Una decina di anni fa la vecchia jeanseria prese il posto
di una macelleria, che a sua volta sostituì un negozio
di frutta e verdura.
La storia di questo spazio è fatta quindi di sovrapposizioni,
di segni che ancora oggi sono visibili e che il progetto sceglie
di non eliminare, ma di ripensare e di integrare, proiettandoli
nell’identità contemporanea. Le tracce della
presenza di altre attività, le diverse textures della
muratura e le sue imperfezioni vengono esaltate dalla “ricchezza”
della doratura e dal colore caldo della luce ad incandescenza.
L’elemento “nuovo” che si inserisce nella
storia di questo spazio è il box luminoso della reception,
un volume scatolare retroilluminato caratterizzato da astrattezza,
rigore geometrico e linee minimali. La luce fredda dei tubi
neon che emana da questo volume in materiale plastico si propone
come un punto di riferimento che lega visivamente e funzionalmente
le tre cellule voltate, sostenendo apparentemente il peso
delle murature.
L’obiettivo progettuale perseguito è la ricerca
di un giusto equilibrio tra storia e contemporaneità,
che occhieggia al colore dorato di una tela di Klimt come
al bianco purismo di Le Corbusier.
Il progetto
L’intervento si concentra su tre aspetti ritenuti fondamentali
per caratterizzare la nuova architettura del negozio: il trattamento
di pareti e volte, il disegno del box reception e degli elementi
di arredo, la scelta delle diverse sorgenti di luce artificiale.
Le superfici verticali e voltate che delimitano le tre cellule
in cui è suddiviso lo spazio del negozio sono caratterizzate
da un patchwork di materiali diversi: lastre di marmo di grande
formato e porzioni di muratura in mattoni e ciottoli a vista,
intonaco a base di calce. Questa forte matericità viene
esaltata dalla tinteggiatura color oro, applicata su tutte
le pareti dopo aver steso una base in color verde ossido di
cromo che ne esalta la brillantezza dei riflessi.
Il box reception è collocato nella cellula voltata
centrale in corrispondenza dell’accesso; è senza
dubbio l’elemento principale del progetto ed è
stato concepito come una grande scatola luminosa che lega
visivamente e funzionalmente le tre stanze del negozio.
La difficoltà principale è stata senza dubbio
nascondere la struttura portante in acciaio, in modo che la
diffusione della luce potesse essere il più possibile
omogenea: su di essa sono fissati i pannelli di truciolare
laccati in bianco che fanno da base per la posa dei tubi al
neon.
Le lastre bianche in perspex 12mm che costituiscono la pelle
esterna sono state tagliate a 45° sugli spigoli ed incollate
a caldo in officina per ottenere delle scocche rigide che
potessero essere facilmente rimosse per la manutenzione dell’impianto
elettrico.
Allo stesso modo gli elementi di arredo sono caratterizzati
da una semplicità ed un rigore geometrico che si pongono
in equilibrio con le fluidità e le linee curve delle
superfici voltate esistenti. Gli espositori sono ridotti all’essenza:
i semplici telai in acciaio inox satinato e lastre in cristallo
temprato possono essere utilizzati sia come piani di appoggio,
sia come appenderie.
In questo modo gli arredi non interferiscono visivamente con
i capi esposti e possono essere facilmente adattati ai comuni
cambiamenti nelle esigenze espositive della committenza: gli
elementi modulari possono infatti essere accostati alle pareti
o raggruppati al centro dei diversi ambienti.
Le sorgenti di luce artificiale che disegnano lo spazio del
negozio sono di due tipi: la cellula voltata centrale in corrispondenza
dell’accesso è illuminata dalla luce bianca del
box luminoso, la cui intensità è regolabile
grazie ad un dimmer elettronico.
Nelle due cellule laterali prevale invece la luce ad incandescenza,
rispettivamente nel lampadario Taraxacum commercializzato
da Flos e dalle tesate Scintilla di FontanaArte.
Il negozio si configura quindi come un luogo fatto di compresenza
di opposti: così come storia e contemporaneità
convivono nelle forme presenti all’interno nello spazio,
lo stesso succede per la luce calda e quella fredda, le cui
variazioni restituiscono immagini molto diverse, per esempio,
dal giorno alla notte.
Un semplice tappeto in canapa, due poltrone di Moroso ed un’opera
di Achille Castiglioni aggiungono poi un riferimento visivo
ed emotivo alla casa, richiamando alla mente un soggiorno
più che un luogo dove si deve comprare. Qui ci si può
rilassare sfogliando una rivista mentre si aspetta di provare
un paio di jeans sentendosi ospiti, a proprio agio ma con
stile.