Z O N E

 

Durante la crescita industriale, la città è stata considerata come una sovrastruttura dell'economia, una dipendenza della sfera della produzione. Nel corso dello sviluppo storico della città contemporanea, l'indifferenziazione urbana ha provocato degli scarti di intere porzioni di territorio relegandole ai bordi della città. La città consolidata ha così ignorato tutto ciò che le era esterno, intrattenendo una relazione di esclusione con i territori adiacenti, non solo fisicamente ma anche economicamente, finanziariamente, professionalmente. 
La volontà di estendere l'urbano, legato ad una concezione estensiva, si è così scontrata con la concezione intensiva di molte città storiche europee, cedendo progressivamente alla divisione tra città e non-città, tra urbanità e periferia. Quest'ultima condannata ad un degrado ancora più veloce della realtà, dove lo specchio della società, rappresentato dai media, non ha fatto che accentuare lo scarto e l'esasperazione. 
La crisi della periferia ha fatto seguito, dunque, ad una profonda crisi simbolica e politica, poiché essa ha negato silenziosamente, ad una parte della popolazione spazialmente relegata, il diritto di appartenere allo stesso corpo urbano.Inoltre, l'ottimismo rivolto nei confronti della tecnica ha rivelato ben presto che la maggiore disponibilità di tempo libero si è mutata in disoccupazione, che l'arricchimento della società è fermo ad una dimensione da varietà televisivo e che nuove forme di alienazione dell'individuo sono riscontrabili nella povertà del linguaggio architettonico e nella scarsa qualità dell'ambiente costruito.
I requisiti della periferia, non sono solo spaziali, ma evidenziano i rapporti irrisolti tra luoghi urbani senza un'identità condivisa e la società che li abita.Quartieri nati dall'equivoco dell'autosufficienza, luoghi dove si accostano paesaggi diversi, in una sommatoria delle parti che produce più conflitti che integrazione. Dalle ceneri della città degli anni '60 e '70, dalla divisione e dallo scontro di una società divisa tra borghesia e classe operaia, si assiste oggi ad una città frammentaria e frammentata, una città diffusa d'uso dinamico, in continua trasformazione, dove al sistema del costruito si contrappone una complessa stratificazione di luoghi della marginalità, i quali sottendono a nuovi gradi di libertà
Ciò che si riscontra attualmente, è una dilatazione dell'intero sistema metropolitano, una pluralità di orizzonti periferici in ragione di nuovi flussi migratori, dell'espansione delle nuove frontiere dovute alla comunicazione immateriale e dello spostamento virtuale delle merci. Questa perdita di una centralità assoluta, di dissolvenza delle marginalità, ha inoltre modificato il concetto stesso di identità. 
L'identità non appartiene più ad un'immagine univoca della città, ad una sorta di icona nella quale riconoscersi, ma diventa un fenomeno complesso che si delinea come un'attività dinamica, relazionale, transitoria, contaminata dagli aspetti della comunicazione e dell'omologazione, dalla nuova percezione e utilizzazione che si ha degli spazi urbani e degli spazi vuoti.Lo spazio è quindi percepito non solo dalle sue caratteristiche fisiche precipue, ma anche da tutta una serie di eventi che gli si sommano addosso e che possono essere differentemente concorrenti oppure isolati, densificati in un tempo breve oppure rarefatti in tempi più lunghi.
Attraverso il senso temporale e la precarietà di certe concorrenze, lo spazio risulta modificabile da contestualità vicine e contaminato da stratificazioni di informazioni adiacenti, rifiutando connotazioni oggettive a vantaggio di una sua relativizzazione.
La metropoli, dunque, non appare come una scena fissa ma un flusso continuo di messaggi e di informazioni che, relazionandosi, danno vita a segni dai valori ambivalenti. Così, se da un lato l'omogeneizzazione che ha unificato lo spazio della produzione capitalistica ha contribuito ad un processo di banalizzazione dei luoghi dello scambio, dall'altro l'eredità modernista ha lasciato all'architettura un timore assoluto per tutto ciò che è indeterminato.Per questo motivo, gli spazi vuoti denunciano una condizione di instabilità nei confronti delle strutture organizzative e nei rapporti di ordine gerarchico con il resto della città. Essi sfuggono sia ai requisiti della politica sia ai valori della comunità, ponendosi molto spesso in maniera alternativa, se non antagonista, con il tessuto consolidato.Si tratta di vuoti con una propria dimensione autonoma, spesso indipendente dai volumi edificati e che non svolgono un ruolo di prefigurazione dello spazio urbano, come i tradizionali spazi aperti contenuti nella città. Ciò che li accomuna è che, alla rarefazione e alla frammentazione del costruito, corrisponde una più densa e attiva inclinazione "comportamentale ".Già il concetto situazionista di vita quotidiana, denunciava le condizioni di estraneazione in cui la società burocratica costringe la quotidianità, ponendo l'attenzione sull'esperienza vissuta come punto di partenza per ogni tipo di liberazione.Secondo Costant e Debord, la vita quotidiana è, quindi, l'oggetto di tutte le possibilità e di tutti i desideri che sono falliti o repressi a causa dell'organizzazione capitalistica della società. Il carattere fondamentale dell'alienazione contemporanea, viene individuato nella dimensione spettacolare del neo-capitalismo " il momento in cui la merce è pervenuta all'occupazione totale della vita sociale "1.Inoltre, l'importanza dei luoghi visti, o percepiti, come manifestazione del successo mette in forte discussione il rapporto tra centralità e marginalità. Da un lato, infatti, si assiste ad una smaterializzazione dei confini tra città e periferia, dovuto allo svilupparsi della città diffusa e, dall'altro, si assiste ad una nuova concezione dello spazio inteso come luogo dell'attraversamento.
Questa fase dialettica dello spazio, impone che il vuoto venga analizzato come ciò che viene osservato e vissuto, superando l'ambiguità tra vuoto urbano e superficie, come è stato già evidenziato da fotografi come Jeff Wall, o Jean-Marc Bustamante, dai cataloghi fotografici di Bernd ed Hilla Becher, da registi come Antonioni, Tarkovskij o da artisti come Gordon Matta-Clark.
Quello che per troppo tempo l'architettura ha equivocato è che l'idea di vuoto, o di spazio aperto come tema, dovesse coincidere con l'idea di spazio in attesa di progetto, producendo delle ipotesi metafisico/contemplative legate al concetto convenzionale di spazio urbano, affidando gran parte della risoluzione progettuale ad elementi di arredo o alla qualità delle perimetrazioni. Bisogna tenere conto che progettare è, fondamentalmente, operare una scelta. In questa accezione, quindi, il progetto diviene necessariamente un'affermazione ideologica, di comprensione o di condivisione di campo. In questo modo, si può evitare l'equivoco di pensare al progetto di architettura come qualcosa di esclusivamente costruito, il che, molto spesso, fornisce solamente delle soluzioni affrettate, frutto di analisi strumentali o di modelli storicamente superati, che adottano stereotipi nei quali il singolo può riconoscersi, in una sorta di nevrosi consolatoria, annullando ogni possibilità di esperienza vissuta sul territorio.
A tale proposito Vito Acconci, che si è sempre interessato nelle sue opere di public-art del rapporto tra individuo e spazio circostante, dichiara: " Una delle questioni che mi pongo sul mio lavoro oggi è che, se faccio un lavoro sullo spazio in un mondo elettronico, anch'esso è uno spazio necessario. Questo significa che in un mondo elettronico, invece di recarsi in un luogo, è forse più importante che tipo di spazio porti con te "2

NOTE

1. Guy Debord, La société du spectacle, Parigi, Buchet/Chastel 1967.
2. Vito Acconci, Vito Acconci, New York, Rizzoli Internetional 1996
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