SALVATORES NON HA PAURA DI ESSERE LIBERO.

L’ondeggiare di una spiga come metronomo della vita. 

Ormai è estate, un caldo afoso ma ancora voglia di cinema, di qualcosa di non necessariamente superficiale come le solite mega-produzioni estive americane.

Ho voglia di sentire il caldo sulla pelle, di respirare l’aria polverosa del mezzogiorno, ho bisogno di una storia piccola ma importante.

Al cineforum danno Io non ho paura di Gabriele Salvatores sembrava che qualcuno avesse capito tutto. Niccolò Ammaniti è considerato da tutti uno dei pochi talenti letterari italiani fra le nuove generazioni e devo dire che io l’ho amato da subito da quel Fango fino a quel piccolo capolavoro che è Ti prendo e ti porto via.

Quando ho letto che Salvatores, il mio regista italiano preferito, avrebbe diretto un film basato su uno dei libri più belli di Ammaniti ero veramente felice, ma come sempre accade con le trasposizioni cinematografiche, anche molto premunito.

Il cinema è pieno di libri stupendi massacrati da riduzioni cinematografiche imbarazzanti… 

Letteralmente voliamo al cinema per vedere il film a spettacolo unico e quando entro sono già immerso in quell’ Italia meridionale degli anni 60, le canzoni che riecheggiano dalla radio, i ventilatori accesi, i bambini che giocano in cortile.

Un mondo che conosco bene, che non è lontano da vite di paesini in cui gli svaghi sono pochi e solo grazie alla ormai sconosciuta fantasia dei bambini con pochi mezzi ci si inventava giochi dal nulla per sentirsi liberi.

Liberi di correre in campi sterminati, di rotolarsi in terra ridendo senza motivo, senza essere schiavi delle brutture che la vita ci può far incontrare.

Dallo schermo ci arrivano tutte le sensazioni, si sente il sole bruciare sulla pelle, sentiamo le spighe di grano passarci fra le dita, e l’odore di terra dopo un temporale estivo.

Ma soprattutto capiamo che tutto questo fa parte di un valore alto che non sempre valutiamo nella maniera giusta, lo diamo per scontato e quindi lo sminuiamo.

Il film vive sulla contrapposizione tra la libertà di Michele che non è solo fisica ma anche e soprattutto mentale e la costrizione di Filippo che si crea un mondo popolato da orsetti lavatori in cui lui si considera morto.

 

Un parallelo tra due vite una mancata, relegata, svilita di ogni sogno e desiderio e l’altra fatta di continue corse in bicicletta verso mete ancora sconosciute guidati dal solo desiderio di fuggire da scelte obbligate.

Tutti questi passaggi sono legati insieme dall’amicizia che si instaura tra i due bambini protagonisti, un sentimento puro, la forma d’amore più difficile da realizzare e da mantenere  perché essere un buon amico è un po’ come essere un angelo custode.

Amicizia che viene sancita con le parole semplici di una preghiera recitata in un’affanosa corsa notturna per regalare al proprio amico quello che tutti possiamo donare: la libertà.

 

Tecnicamente Salvatores mantiene la sua mano leggera che ci trasmette emozioni e sensazioni attraverso il filo di fumo di uno zampirone che si scioglie in una luna piena oppure ci stupisce con campi di grano che illuminano cieli dipinti e tramonti caldi e intensi.

Una menzione particolare va fatta ai due protagonisti bambini che si superano in bravura per mostrarci quello che molte volte noi dimentichiamo o vogliamo dimenticare che ciò che da senso alla vita non è nulla di artificioso ma solo anche e semplicemente un sorriso al momento giusto, una mano che ti afferra e ti dice di non aver paura.

Fabio Siri

sirifabio@tin.it

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